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Gli italiani infelici accusano la politica

Rapporto del Censis, gli italiani infelici accusano politici e banchieri (Audio)

Gli italiani infelici accusano la politica
Gli italiani infelici accusano la politica

SINTESI AUDIO RAPPORTO CENSIS

FIRENZE – Il report annuale del Censis sulla situazione sociale dell’Italia punta i riflettori sulla classe dirigente, che «usa annunci drammatici e manovre complicate per restare la sola titolare della gestione della congiuntura economica». E riporta dati allarmanti su tutti i fronti, dalla disoccupazione record ai consumi crollati.

Negli ultimi mesi si sono imposte così nella dialettica sociale e politica tre tematiche che sembrano onnipotenti nello spiegare la situazione del Paese: la prima è che l’Italia è sull’orlo dell’abisso, la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità e la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro.

La politica è avvitata nella spirale della crisi, la furbizia è generalizzata mentre gli italiani sono sempre più infelici. La classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla, tentazione che vale per politici e amministratori pubblici. Un atteggiamento che porta a uno «sconforto continuato tra gli italiani, con conseguenze dirette sulla società, sempre più sciapa, dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro ed evasione fiscale».

Non bisogna trascurare il vizio delle mazzette. L’indice di Transparency International, che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e politico, posiziona l’Italia al 72esimo posto nel mondo su 147 Paesi, ricorda il rapporto, e se guardiamo all’Europa l’Italia è in fondo alla classifica, davanti alle sole Bulgaria e Grecia. Secondo la Banca mondiale nel mondo ogni anno vengono infatti pagati più di mille miliardi di dollari in tangenti, una cifra che è di 50-60 miliardi per quanto riguarda l’Italia.

Le spese delle famiglie tornano indietro di dieci anni. I tagli sono evidenti soprattutto al supermercato: il 48,6% dei cittadini dichiara di avere mutato intenzionalmente le abitudini alimentari cercando di risparmiare. E il paragone con gli altri Paesi europei è evidente: il 76% degli italiani dà la caccia alle promozioni, contro il 43% della media europea. Risparmi anche sulla benzina. Oltre il 53% ha ridotto gli spostamenti in auto e moto in 24 mesi e il 68% ha dato un taglio a cinema e svago. Ma i risparmi non bastano ad affrontare neanche le spese più essenziali. Per il 72,8% delle famiglie un’improvvisa malattia sarebbe infatti un grave problema da finanziare, mentre il pagamento delle bollette mette in difficoltà oltre un italiano su cinque.

Il nodo principale resta l'occupazione
Il nodo principale resta l’occupazione

Il rapporto del Censis conferma che il nodo principale resta l’occupazione. «Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro in Italia»,  spiega il dossier, sottolineando che un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa peggiorerà, il 14,3% prevede un taglio della busta paga e un altro 14% teme di perdere il posto. Sono quasi 6 milioni gli occupati che nell’ultimo anno si sono trovati a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa.

Boom di imprenditori immigrati, mentre gli italiani si fanno da parte. Per uscire dalla spirale della crisi il Censis invita a riconsiderare il ruolo degli immigrati, definendoli «un volano». Di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente,  costretti a lavorare per restare in Italia, gli stranieri si assumono il rischio di aprire nuove imprese sottolineando che gli imprenditori italiani sono calati del 4,4% dal 2009 al 2012, mentre i titolari d’impresa nati all’estero sono aumentati del 16,5%. Il futuro del Paese, oltre che agli immigrati, è anche nelle mani delle donne, boom anche di imprese al femminile. La lenta ascesa delle donne finalmente nuovo ceto produttivo, un saldo positivo di 5000 unità per le imprese rosa. Un fenomeno positivo, relativamente recente, che però non si rispecchia appieno ancora nei Consigli delle Camere di Commercio.

I problemi del Paese restano i soliti, irrisolti. A partire dall’istruzione. L’affanno degli atenei, le università italiane stentano a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca. Il 21,7% della popolazione italiana oltre i 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare. C’è poi la questione-Meridione. L’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è scesa di un punto percentuale dal 2007 al 2012, così come i dati occupazionali restano sensibilmente inferiori al Sud, dove sono a rischio povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%. Resta poi il problema del «lungo travaglio dei grandi progetti urbani», poiché la difficoltà di portare a realizzare alcune grandi operazioni progettate ormai in un’altra fase storica costituisce una componente importante della fase critica che stiamo attraversando.

L’Italia che vive all’estero. All’estero ci sono 4,3 milioni di connazionali che incarnano un’Italia sicuramente più decente e apprezzata di quella racchiusa nello stivale. Anche perché chi si è trasferito all’estero ha delle ottime ragioni per non ritornare: l’assenza di meritocrazia che impera in Italia (54,9%), clientelismo e bassa qualità delle classi dirigenti (44,1%), imbarbarimento culturale della gente (34,2%), scarsa qualità dei servizi (28,2%), sperpero di denaro pubblico (27,4%). Il 28,2% indica poi la scarsa attenzione ai giovani come il difetto più intollerabile dell’Italia, e infatti ha meno di 35 anni il 54,1% dei 106.000 italiani che nel 2012 si sono trasferiti all’estero (il doppio dei 50.000 del 2002, con un aumento del 115%).

Le scommesse possibili. Ci sono molti settori produttivi del nostro Paese che non sfruttano appieno le possibilità di sviluppo che avrebbero, a cominciare dal terziario, che ha un’incidenza pari al 73,7% del Pil, contro il 79% della Francia e il 77,9% del Regno Unito. Soprattutto, avrebbero bisogno di svilupparsi i segmenti più propulsivi, legati ai servizi alle imprese, dalla finanza all’informatica alla consulenza (valgono il 19,9% del Pil contro una media Ue del 23%). Anche la cultura offre opportunità non sfruttate, se si considera che il numero dei lavoratori italiani del settore, 309.000, è meno della metà di quelli del Regno Unito, 755.000, e della Germania, 670.000. L’edilizia potrebbe conoscere a breve una ripresa, dal momento che dal 2007 al 2012 le compravendite di abitazioni sono calate del 45%, e solo il 53% delle famiglie che lo desideravano sono riuscite ad acquistare una casa. E infine molta attenzione è puntata ai grandi eventi internazionali: il più importante è l’Expo di Milano, che dovrebbe portare in Italia 20 milioni di visitatori nell’arco di sei mesi.

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Massimiliano Mantiloni

Giornalista

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