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Il «Ratto delle Sabine» va agli Uffizi. Firenze è sempre meno museo all’aperto

Ratto delle Sabine, Giambologna
Il Ratto delle Sabine opera del Giambologna

Agenti atmosferici e inquinamento hanno, alla fine, decretato lo spostamento dalla sua consueta collocazione, sotto la Loggia dei Lanzi in Piazza Signoria, del «Ratto della Sabine». Una fra le sculture più significative del Rinascimento fiorentino, opera del Giambologna. La scultura, che rappresenta il rapimento, da parte di un Romano, di una fanciulla Sabina, episodio tra storia e mito che rievoca i primi tempi della storia di Roma, fu scolpita dall’artista fiammingo, naturalizzato fiorentino, Jean de Boulogne (Douai nelle Fiandre, 1529 – Firenze, 1608), ma meglio conosciuto appunto come Giambologna.

La nuova collocazione sarà nella Galleria degli Uffizi. La decisione di trasferire l’opera è la conclusione alla quale è giunto un gruppo di ricercatori dopo un lungo periodo di osservazione. La sua attuale collocazione non garantirebbe – questo l’esito del lungo monitoraggio da parte degli esperti – la conservazione del capolavoro. Si attende adesso che il direttore generale del Mibac – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – di concerto con il Ministro Dario Franceschini decida i termini del suo spostamento. Il processo prevede non solo il trasferimento dell’opera, ma anche la sua sostituzione con una copia. Sembra difficile immaginare la celebre Loggia dei Lanzi senza l’opera del Giambologna per la quale fu realizzata alla fine del Cinquecento. La scultura faceva parte di quella sorta di «museo all’aperto» voluto da Cosimo I in uno dei luoghi più emblematici della città di Firenze, da sempre spazio di rappresentanza della repubblica fiorentina a cui il potere granducale si era sostituito. L’opera rappresenta anche uno dei momenti più alti della storia del Rinascimento fiorentino. Fu scolpita da un solo blocco di marmo e rimane significativa la capacità dell’artista di rappresentare la tensione dei corpi e il loro movimento attraverso la torsione dei busti e il sovrapporsi dei piani e il loro intrecciarsi lungo un’asse, come una «serpentina».

Gli spostamenti di opere per motivi di sicurezza e di conservazione si sono più volte verificati nel corso degli anni. Tra i più famosi «trasferimenti» va ricordato quella del «David» di Michelangelo collocato  nel 1872 presso la Galleria dell’Accademia a causa del suo pessimo stato di conservazione, o ancora la restaurata Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, dopo l’Alluvione del 1966, attualmente presso il Museo dell’Opera del Duomo. Una modalità, quella del trasferimento di opere dai luoghi originari di collocazione, che serve a garantirne una migliore conservazione e che ha visto sempre più sostituire gli originali con copie. La copia di un’opera d’arte riesce a trasmettere comunque il suo valore storico e simbolico, ma l’originale rimane, seppure oltraggiato dal tempo, dall’incuria umana, dagli atti vandalici e dall’inquinamento, capace di evocare il sentimento del bello e un coinvolgimento emotivo che solo la verità riesce a trasmettere.

Firenze, Giambologna, mibac, piazza signoria

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