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Elezioni in Gran Bretagna: exit poll, i Conservatori di Cameron in vantaggio sui Laburisti per 316 seggi a 239

londraLONDRA – Stando agli exit poll della Bbc, i Conservatori del premier David Cameron avrebbero inflitto una sonora sconfitta ai laburisti di Ed Miliband, pur dovendo ricorrere a una riedizione dell’alleanza con il poco che resta dei Lib-dem di Nick Clegg per strappare una risicata maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni in grado di garantire la permanenza di Cameron a Downing street. Sulla base dei primi dati diffusi dalla Bbc e da Sky News, i Tory sarebbero infatti riusciti ad aggiudicarsi 316 seggi, dieci in più del 2010 e molti di più di quanto le previsioni della vigilia lasciassero presagire. I laburisti al contrario si sarebbero fermati al 239, 19 in meno di cinque anni fa: un autentico scacco per Miliband, fresco leader del partito, che sembra aver fatto peggio del risultato che costò la premiership e la carriera a Gordon Brown.

Trionfo record, invece, stando sempre alla Bbc, per gli indipendentisti scozzesi dello Snp della ‘dama rossa’ Nicola Sturgeon, che dopo la delusione del referendum sulla secessione, farebbero piazza pulita in Scozia in 58 collegi su 59, calando su Londra con 52 deputati in più rispetto alla volta scorsa. Indietro invece l’Ukip, il partito anti-Ue e anti-immigrati di Nigel Farage, rimasto lontano dal grande risultato delle ultime elezioni europee e capace di portare a casa solo due seggi, meno dei Verdi (3) e degli autonomisti gallesi di Pleid Cymru (4). Con questi numeri, che cozzano peraltro con quelli ben più serrati di YouGov (284 seggi ai conservatori e 263 al Labour), in ogni modo non si vede nessun governo possibile se non uno a guida Cameron. Che con la stampella dei Libdem, a dispetto del tracollo del partito di Clegg (meno 47 seggi, a prendere per buono gli exit poll della Bbc), sembrano poter superare l’incubo dell’Hung Parliament, cioè di un parlamento senza una singola forza in controllo della maggioranza assoluta, agguantando la metà più uno esatta dell’assemblea.

“Se è andata così abbiamo vinto”, ha commentato a caldo Michael Gove, capogruppo uscente dei Tory alla House of Commons. E in effetti l’appello di Cameron agli elettori affinché gli permettessero di “finire il lavoro” non pare caduto nel vuoto. In ballo ci sono ora la ripresa economica di questi anni, pur con i suoi contraccolpi sociali e di bilancio, il rapporto con l’Europa, lo spinoso tema del controllo dell’immigrazione. In ogni modo la democrazia decisionista per eccellenza ha deciso. E anche se non si tratta più di una scelta in grado di garantire di per sé la stabilità senza i tempi supplementari di qualche trattativa e qualche accordo tra partiti, non si può neppure parlare di un salto nel buio. Né di una svolta destinata a far sembrare “improvvisamente la vecchia e posata Gran Bretagna come l’Italia”, secondo la maliziosa previsione di un commentatore della Cnn. Un primo classificato stanotte c’è, a quanto pare. E sarà lui, David Cameron, a dare le carte. A far da garante si fa sentire d’altronde la regina, pronta – a 89 anni e con alle spalle decenni di regno dall’era di Winston Churchill a oggi – a “prendere il controllo” dell’iter istituzionale, come si sono premurate di far trapelare fonti di Buckingham Palace.

Ma non è solo una questione di governabilità. Il voto lascia infatti aperta la questione scozzese, sulla base del risultato attribuito alla Snp di Sturgeon nella sua roccaforte. Come pure quella del rapporto con l’Ue che Cameron aveva promesso di sottoporre entro il 2017 a un referendum carico d’incognite anche nel giudizio di settori di quella City favorevoli alle ricette economiche del governo a guida Tory. E che Farage vorrebbe chiudere senza se e senza ma per tornare al passato d’una tradizione fatta non solo di sterline, di libbre e di once, ma anche di isolamento e di confini per i migranti. I mercati intanto aspettano. La crescita, giunta a un +2,6% annuo che suscita molte invidie in Europa dopo la crisi del 2008-2009, e l’occupazione scesa fra il 5 e il 6%, restano dati positivi. Ma non al riparo dalla frenata dell’economia registrata proprio una settimana fa. Mentre i possibili tagli del welfare rischiano di aggravare drammaticamente i problemi sociali dei non pochi che sono rimasti esclusi dalla “ripresa”. Sulla testa di tutti continua a pendere poi la spada di Damocle d’un debito pubblico alimentato dal deficit annuo salito al 5,6% del Pil: quota che precipiterebbe nei guai qualunque Paese della disprezzata eurozona.

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