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Eurostat: in Italia povertà e deflazione crescono. Due mali che il Governo Renzi non guarisce

Besucher essen am Mittwoch (03.01.2007) in einer Berliner Suppenküche. Kanzleramtschef Thomas de Maiziere besuchte die Einrichtung und wollte damit freiwilligem Engagement mehr Aufmerksamkeit verschaffen. Täglich erhalten rund 300 bedürftige Besucher der Franziskaner-Einrichtung in Berlin-Pankow Essen. Foto: Gero Breloer dpa/lbn +++(c) dpa - Bildfunk+++
Poveri alla mensa della caritas

ROMA – Vi ricordate quando i giornali, i sindacati, la politica vicina alla sinistra affermavano ogni piè sospinto, sotto il governo Berlusconi, che gli italiani in difficoltà arrivavano solo fino alla terza settimana? Adesso Eurostat certifica che l’Italia – sotto il governo Renzi –  conta quasi sette milioni di poveri, tanti quanti nessun altro paese europeo, il doppio rispetto alla Germania e il triplo della Francia. La fotografia, dell’ufficio di statistica Ue, parla chiaro e tutti gli altri Stati membri seguono a distanza. E ciò nonostante, guardando all’andamento dei tassi, il fenomeno della grave deprivazione materiale, questa l’etichetta tecnica, da noi sia in lievissima diminuzione, passando dall’11,6% del 2014 all’11,5% del 2015.

POVERTÀ – L’andamento dei prezzi e quello della domanda sono legati a doppio filo, ma con tutta probabilità per i 6,982 milioni di persone che vivono in conclamate condizioni di povertà i consumi sono un tabù. Eurostat ha infatti individuato la fetta di popolazione in difficoltà economiche a partire da nove indicatori: vive in cattive condizioni chi risulta ‘positivo’ a quattro. Si va dalle vacanze al pasto proteico, dalla possibilità di accendere i riscaldamenti a quella di pagare il mutuo, l’affitto o le bollette.

INDICATORI – Ed ecco che emerge come in Italia quasi uno su due non possa permettersi una settimana di ferie da passare lontano da casa, il 40% invece non riesce a fare fronte a una spesa imprevista, mentre circa il 12% non ha i soldi per mangiare carne, pesce o un equivalente vegetariano ogni due giorni. Ora, in fatto di percentuali, ci sono diversi Paesi che stanno peggio di noi: la Grecia, la Romania, la Lettonia, la Lituania, la Bulgaria, la Croazia ma si tratta di tutte nazioni meno popolose dell’Italia, che per questo conquista un non lusinghiero primato se si guarda non ai tassi ma alle teste (sette milioni di poveri su un totale Ue di 41). Se si analizza la tipologia familiare i picchi di disagio si registrano nei nuclei numerosi, le coppie con tre o più bambini a carico (il 18,6% si trova in condizione di grave deprivazione), mentre la vita è un po’ più facile per gli anziani senza figli.

DEFLAZIONE – Ma forse chi non ha il portafogli particolarmente fornito potrebbe consolarsi con l’ultima notizia che ci viene questa volta dall’Istat, che conferma, siamo ancora in deflazione: più i prezzi sono bassi meglio va per il potere d’acquisto. Ma il calo dello 0,2% dell’indice nel mese di marzo, il secondo ribasso consecutivo, fa storcere la bocca perfino alle associazioni dei consumatori, come il Codacons e l’Adusbef, tradizionalmente favorevoli agli sconti. Tutti infatti temono una spirale negativa per l’intera economia. Tanto più ora che la deflazione sembra espandersi a macchia d’olio sul territorio, toccando ben 22 grandi città, dal Nord al Sud, tra cui anche Roma, Milano, Napoli e Firenze. Il rialzo congiunturale della benzina e i rincari dovuti alla Pasqua (i biglietti aerei hanno segnato un +11,6%) non hanno quindi sortito effetti, se non quello di portare l’indice dei prezzi in positivo marzo su febbraio (+0,2%). Di sicuro sul dato continuano a pesare come un macigno i listini dei beni energetici, tanto che senza di loro il tasso non sarebbe di deflazione ma di inflazione.

DISOCCUPAZIONE – Finalmente una buona notizia per l’esecutivo: numeri positivi arrivano dall’Inps, che per febbraio ha ricevuto 105.654 domande di disoccupazione (tra Naspi, Aspi, MiniAspi, disoccupazione e mobilità) con un calo del 22,7% su base annua. Cifre che avvalorano l’andamento al ribasso già visibile a inizio 2016 e vengono per questo salutate con favore anche dal premier Matteo Renzi (è però significativo che lui, di solito così loquace e autoelogiativo, si esprima solo su questo dato e non sui numerosi altri negativi): «Nei primi due mesi del 2016 (quelli in cui si sarebbe registrata la crisi del Jobs Act per i nostri amici gufi) le domande di disoccupazione sono scese del 28,6%» rimarca, nella sua enews, il presidente del Consiglio. Ma può rimarcare a suo favore soltanto questo, mentre i gufi restano in agguato.

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