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Referendum: confronto Renzi (Sì) – Zagrebelsky (No). Dibattito acceso ma nessuno dei due convince

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La “palude” da superare e la credibilità da difendere, per Matteo Renzi. Il “rischio per la democrazia” e lo spettro di una “oligarchia”, per Gustavo Zagrebelsky. E’ una visione “culturale” di fondo inconciliabile, a separare profondamente il presidente del Consiglio e il professore. I due capifila del Sì e del No al referendum costituzionale si confrontano per la prima volta nello studio tv di La7. Ed è subito scontro, in un continuo botta e risposta, tra battute, punzecchiature e divergenze inconciliabili nel merito.

Le oltre due ore di confronto si aprono con un insolito scambio di ruoli: Renzi difende i punti cardine di una riforma “voluta dal Parlamento e non solo da me”, Zagrebelsky esordisce con una punzecchiatura. “Sono contento che abbia ripensato ai discorsi su parrucconi, rosiconi, gufi, altrimenti non avrebbe perso tempo con uno di loro…”, sorride il costituzionalista. E il premier si indigna: “Non mi sono mai permesso di chiamarla parruccone. Io ho studiato sui suoi libri: prof, venga al merito”. Da qui in poi, inizia uno scambio che passa spesso (e all’inizio Renzi se ne lamenta) dal piano costituzionale a quello politico. Anche perché, afferma Zagrebelsky: “Le istituzioni vanno calate nel contesto. La Costituzione di Bocassa, dittatore centroafricano, è molto simile a quella Usa”.

POTERI PREMIER – “Lei dice che la riforma costituzionale non tocca in nessun punto i poteri del presidente del Consiglio. Ma molti di noi sono preoccupati per rischi di derive autoritarie o di concentrazione al vertice delle istituzioni: rischiamo di passare da una democrazia a una oligarchia”, attacca il costituzionalista. E Renzi ribatte: “L’appello di ”Libertà e Giustizia” da lei firmato, che parla di svolta autoritaria, offende l’Italia. Tra l’altro, ricorda il premier, Zagrebelsky ha firmato anche l’appello dei 56 costituzionalisti che “dice esattamente il contrario”. “Non è vero. E io comunque non mi sono preparato sulle sue contraddizioni…”, è la replica del professore. Che rincara la dose: combinata con l’Italicum la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, tanto che la riforma su cui si voterà il 4 dicembre è più forte di quella voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

POTERI FORTI – Ma lo scontro continua su questo che è un tema cruciale. Il rischio, sottolinea l’esponente del No, non è il governo Renzi ma “quelli che potranno venire. L’Italicum crea un terreno aperto per l’affermazione di poteri forti”: mentre in Europa avanzano le estreme destre “dovremmo attrezzarci per avere un sistema di garanzie”. Il leader Dem però sul punto dell”Italicum ha un asso nella manica: “L’Italicum non è un rischio e il referendum non è sulla legge elettorale ma come Pd prenderemo un’iniziativa per cambiarla e togliere ogni dubbio”.

ITALICUM – Il prof però non si fida: “Lei diceva che era la legge più bella del mondo, ora i sondaggi dicono che al Pd al ballottaggio perde e volete cambiare, ma non basta: serve un accordo sul come. Lei ha sostenuto – spiega – che l’Italicum era la legge più bella del mondo e sarebbe stata invidiata da tutti. Invece poiché cambiano le condizioni e non siamo più in un sistema bipolare ma tripolare e i sondaggi dicono che quando il Pd si presenta contro qualcun altro vince qualcun altro, il ballottaggio non è più nel cuore del Pd, forse è nel suo…. E la rottura del Nazareno fa sì che venga imposta da un parte e il nostro è un Paese diviso in due, il suo partito è diviso in due”.

SENATO – Non solo l’Italicum, però. Lo scontro è anche sul nuovo meccanismo di elezione del presidente della Repubblica, sulle competenze e sui poteri del nuovo Senato. “Le garanzie aumentano – afferma Renzi – più poteri alla Corte costituzionale, quorum più alto per l’elezione del presidente della Repubblica e statuto delle opposizioni. Invece il presidente del Consiglio non ha poteri in più”. “Se lo Statuto delle opposizioni lo scrive la maggioranza – replica Zagrebelsky – dov’è la democrazia? E la maggioranza potrà eleggersi da sola il presidente della Repubblica. Dico che c’è un pericolo per la democrazia pensando non al suo governo ma ai governi che potranno venire. L’Italicum crea un terreno aperto per l’affermazione di poteri forti. Dovremmo attrezzarci per avere un sistema di garanzie e bilanciato”, rilancia Gustavo Zagrebelsky .

POTERI CAMERE – «Il nostro sistema di bicameralismo paritario dà vita a un costante `ping pong´ che determina ritardi clamorosi». È un sistema che «assomiglia più ad una doppia assemblea di condominio» ha spiegato Renzi. Parole sul quale Zagrebelsky non concorda affatto. «Le difficoltà che lei sottolinea, il ping pong, deriva dal fatto che le forze politiche non sono d’accordo, non dal bicameralismo perfetto. La radice di queste difficoltà è politica non istituzionale», sostiene il costituzionalista secondo il quale, in Paesi che non hanno il bicameralismo paritario, come Francia e Usa, entrambe le Camere «partecipano al processo legislativo». In Italia «Camera e Senato hanno stessi poteri ma non fanno la stessa cosa», aggiunge l’ex giudice costituzionale.

ELEZIONI PRESIDENTE REPUBBLICA – L’elezione del presidente della Repubblica? «Nelle ultime votazioni, quelle decisive, vale la volontà della maggioranza dei presenti. Un quorum sui componenti è garanzia per coloro che non sono d’accordo, basta non presentarsi. E non bloccare ma per riaprire la discussione sulla deliberazione» afferma Zagrebelsky. Totalmente in disaccordo il premier Matteo Renzi che, più volte, ribadisce: «c’è il quorum dei 3/5, il quorum è aumentato, non diminuito, ed è maggiore del 51% della maggioranza assoluta».

REGIONI – Ma il presidente del Consiglio ribatte colpo su colpo, citando anche il maestro di Zagrebelsky, Leopoldo Elia: “La riforma semplifica, a partire dai poteri delle Regioni. E dire che taglia i costi non è demagogia. I poteri del premier non aumentano: non posso neanche rimuovere un ministro. La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi ma adesso lei ora vota No come Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro? Un No rischia di pregiudicare il nostro recupero di credibilità in Europa e nel mondo. Quest’occasione perduta non tornerà per i prossimi venti anni”.

L’appello conclusivo dei due protagonisti conferma le loro asserzioni.

RENZI – “Per la prima volta la proposta di cambiare qualcuno è riuscita a metterlo in campo. Si vota sul quesito, non si vota su governo, Italicum, o sui gufi. Se si vota No il bicameralismo paritario resta. Se si vota sì si riducono i parlamentari e i costi delle istituzioni. E se vince il No non troverete nessun parlamentare in futuro che vorrà cambiare. Io credo che più chiarezza sul potere delle Regioni cambierà la vita dei cittadini su temi come rifiuti o trasporti. E’ fondamentale dire che un Paese cambia. Chi fa politica ha il dovere di cambiare, per avere qualcuno che vince le elezioni, per un sistema più stabile. Se si fa così io credo che l’Italia supera il passato. E’ finito il tempo della nostalgia se vogliamo stare al tempo globale, se vogliamo restare ai ricordi faremo dell’Italia un museo”.

ZAGREBELSKY – “La riforma ha diviso il Paese e creato un clima di tensione. Non si rende più semplice il sistema, si crea un Senato raffazzonato con una legge elettorale dei senatori difficilissima da approvare. Le promesse hanno un contenuto ma anche un valore demagogico. La riduzione dei costi è minima e la riduzione del numero dei parlamentari si poteva fare in modo diverso, si poteva fare molto di meglio, ci sono proposte in campo. Se viene approvata questa riforma per venti o trent’anni non avremo la possibilità di cambiare, se viene respinta si potranno fare cose più semplici”.

Un dibattito acceso, a volte anche troppo, nel quale nessuno dei due ha convinto abbastanza delle proprie ragioni, il confronto non si è appuntato su temi specifici, ad esempio non si è parlato quasi per niente del nuovo procedimento di formazione delle leggi, complicato e per di più illustrato, nel nuovo testo costituzionale, con parole e frasi complessivamente incomprensibili per i cittadini. Se questa è la semplificazione a cui accennava Renzi non ci siamo proprio. Mentre per altri aspetti, come la riduzione dei poteri delle regioni, la riforma è ampiamente positiva. Ci saranno comunque altre occasioni nelle quali i rappresentanti del Sì e del No avranno modo di approfondire i punti più qualificanti o problematici della riforma. Nonostante la buona volontà di Mentana credo che questo dibattito non abbia convinto nessuno e che tutti, per ora, siano rimasti della loro opinione o ancora più incerti se tracciare una croce sul Sì o sul No il 4 dicembre.

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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