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Immigrazione, tra legalità e conformismo

Alcuni giorni fa una ventina di Senegalesi, saliti a Firenze sul treno regionale per Piombino, non intendevano pagare il biglietto, tanto che è dovuta intervenire la polizia ed il treno è partito dalla stazione di Santa Maria Novella  con un ritardo di alcune decine di minuti. Una tappa ulteriore di una serie di soprusi quotidiani, che anche il Firenze Post non manca di riferire, come nel caso recente degli abusivi nelle aree di sosta di Careggi.

Una premessa, non doverosa ma opportuna, si direbbe purtroppo, visti i tempi che corrono. Lo straniero deve essere sempre rispettato. Ancor più se indigente o in condizioni di difficoltà. Non abbiamo addirittura problema alcuno a considerarlo possibilmente migliore di noi, che siamo nati e vissuti nel benessere e che nella vita abbiamo molte più occasioni e spesso le sappiamo solo sprecare. Del resto l’unità della famiglia umana costituisce un portato culturale inconfondibile del cristianesimo. Tutto questo va detto perché quando si affrontano certi argomenti è facile subire anatemi. Una folta schiera di benpensanti è sempre pronta a dipingere il doppio petto indosso agli altri, ma non si accorge che di doppio petto è vestito il suo intransigente conformismo pauperistico.

Aggiungiamo che tutti senza distinzione di nazionalità devono pagare il biglietto sul treno e sull’autobus, come pure le tasse e ogni quant’altro previsto dalla legge. Ma l’atteggiamento posto in essere dai protagonisti di questo evento va visto sotto un altro profilo. Esso lascia ritenere che una tale iniziativa potrebbe essere stata incoraggiata da una sorta di comprensione latente verso la loro situazione o, peggio, dalla sensazione di poterla attuare in forza del numero.

Dobbiamo pertanto plaudire all’operato del personale ferroviario che nella circostanza non ha inteso recedere dall’affermare la dignità della propria funzione, prontamente e come di consueto puntualmente coadiuvato dalle forze di polizia.

Ma non ne facciamo una questione di repressione. Il problema è un altro. E’ del tutto evidente che ormai nella nostra collettività manca anche la convinzione per un approccio efficace: come vogliamo accogliere questi stranieri? Come li vogliamo trattare? Li vogliamo tenere ai margini di periferie o in aree degradate, ovvero c’è per essi spazio e quale nel nostro sistema economico e sociale? Il principio di legalità li riguarda ed è loro applicabile? In proposito si respira aria di rinuncia e di elusione. Tra chi intravede un nuovo sottoproletariato da manovrare o invece materiale umano comodamente disponibile per un’agevole solidarietà sotto casa (sempre però a carico delle casse pubbliche o di altri), le sole presenze concrete che si avvertono sono quelle delle organizzazioni religiose e del volontariato. Occorrerebbe ben altra mobilitazione di coscienze e di risorse.

E la politica, cui competerebbe l’alto compito di elaborare e mettere in pratica ogni possibile strategia praticabile, che fa? Assai poco di utile. Salvo approvare leggi tanto rigorose quanto inapplicabili, oppure lavorare sostanzialmente per lo smantellamento unilaterale dello Stato di diritto.

Quarant’anni dopo la morte di Martin Luter King, avvenuta nel 1968, Barack Obama è divenuto Presidente degli Stati Uniti. Altri orizzonti. Da noi le innovazioni nella scena pubblica attengono al successo di persone che hanno esercitato l’arte della comica e che ora pretendono di dettare la linea. Ma non dovrebbe durare: anche il Dante da piazza ed osteria di Benigni sta già inevitabilmente mostrando la corda.

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