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01_Bandiera Ibis Somalia

Somalia 1993, nasce il peacekeeping all’italiana

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In Somalia nel 1993, vent’anni fa, è partito il peacekeeping all’italiana. «Un lavoro che non è da soldati, ma solo i soldati possono farlo» ha detto ieri a Firenze il generale paracadutista Bruno Loi, già comandante del contingente Unosom1 Ibis, citando il sociologo americano Charles Moskow. Aggiungendo però: «Nessuno come i soldati italiani sa svolgere questo compito». Il riferimento evidente è a forze militari straniere, soprattutto Usa, che sono «ottimi combattenti ma si trovano spaesati quando c’è da fare peacekeeping».

La Somalia fu il vero primo banco di prova per la dottrina che vedeva il militare straniero impegnato in attività di sostegno ad una popolazione bisognosa di tutto ma soprattutto di una cornice di sicurezza. Anche ricorrendo, quando necessario, all’uso della forza. Il soldato italiano – ha ricordato Loi – imparò ad «essere al tempo stesso combattente, gendarme, versatile e operatore umanitario». Uno stile operativo e comportamentale che si è poi evoluto nel tempo e applicato con sempre maggior frequenza nei numerosi impegni internazionali delle Forze armate italiane. Che sono – ha poi sottolineato con chiarezza l’ex comandante dei parà della Folgore in Somalia – «l’unico strumento serio che ha la nostra diplomazia per trattare con le altre nazioni del mondo. L’atout fondamentale in mano alla politica estera italiana».

Loi ha parlato al convegno «Operazione Ibis in Somalia, vent’anni dopo riscoperto il Tricolore» promosso dal Comitato Provinciale di Firenze della Croce Rossa Italiana e moderato dal presidente toscano della Cri Francesco Caponi. Nell’occasione è stata ufficialmente scoperta e consegnata al Museo storico fiorentino della Croce Rossa la bandiera italiana che il 13 dicembre 1992 fu issata sul tetto dell’ex ambasciata italiana di Mogadiscio, che era stata chiusa da circa un anno dopo il precipitare della guerra civile in atto nel paese africano.

L’operazione venne svolta da un team di incursori del 9° battaglione d’assalto «Col Moschin» guidati dall’allora colonnello Marco Bertolini, attuale generale di corpo d’armata e comandante del Coi, il Comando Operativo di vertice Interforze della Difesa. Facevano parte dell’avanguardia dei reparti italiani che cominciavano ad affluire in Somalia nell’ambito dell’operazione umanitaria multinazionale «Restore Hope», passata poi sotto egida dell’Onu dal maggio 1993.

Una missione che durò fino al maggio 1994, meno di un anno e mezzo, quando fu deciso il ripiegamento delle truppe straniere che vi partecipavano, tra cui in particolare Usa e Italia. «Un periodo troppo breve – ha detto ieri il generale Carmine Fiore che a capo della Brigata Meccanizzata Legnano si avvicendò nel settembre 1993 alla Folgore del generale Loi – se solo si pensa che l’impegno dell’Onu nei Balcani sta durando da 17 anni. Sembra quasi come se un padre ed una madre abbandonassero i figli. Non è possibile lasciare situazioni incompiute come è stato fatto». E le conseguenze si vedono ancora oggi in una Somalia teatro di scontro tra fazioni rivali e con la popolazione ancora bisognosa di tutto.

Unanime il ricordo e l’apprezzamento per quanto le infermiere volontarie della Cri svolsero in Somalia nell’ambito della missione italiana, fino ad avere una vittima tra le proprie fila. Fu la sorella Maria Cristina Luinetti, uccisa da un somalo nel poliambulatorio Italia a Mogadiscio, che a differenza degli ospedali da campo delle altre forze armate straniere era aperto anche alla popolazione locale. Al padre della crocerossina Luinetti, presente all’evento, è stato consegnato un ricordo da parte del Presidente provinciale della Cri Paolo Cioni.

Commosso l’intervento di Carla Pulcinelli Cossu, già Ispettrice Nazionale delle Infermiere Volontarie, che ha ricordato e ringraziato le 112 crocerossine che parteciparono alla missione in Somalia, chiamandole con affetto e semplicità «le mie meravigliose sorelle».

Parole riprese dal senatore Francesco Bosi, già sottosegretario alla Difesa e attuale responsabile del settore Difesa e Sicurezza dell’Udc, che ha chiuso i lavori del convegno fiorentino. Bosi ha tra l’altro sottolineato che, fermo il dettato costituzionale di ripudio della guerra come «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», l’Italia sente il dovere di partecipare ad operazioni multinazionali che abbiano come scopo il contenimento di danni umanitari verso popolazioni inermi. «Situazioni di fronte alle quali – ha detto – la comunità internazionale non può restare passiva e dove l’eventuale uso della forza è finalizzato esclusivamente a contenere i danni per i più deboli».

 

Croce Rossa, Difesa, esercito


Sandro Addario

Giornalista

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