ROMA – Nell’incontro di Palazzo Chigi fra Renzi e Juncker pare sia scoppiata la pace fra i due ex litiganti. Rispondendo alle domande dei giornalisti in una conferenza stampa, il premier italiano ha evitato toni aggressivi. E il presidente della Commissione Europea ha elogiato per vari aspetti l’Italia, affermando che «con Renzi è andato tutto bene». L’Italia «è un grande paese, fondatore dell’Europa; quando si dice Roma si dice Europa», ha affermato Juncker, secondo cui tra Italia e Commissione Europea, per quanto riguarda «l’essenza delle cose c’è un’ampia identità di vedute, ci sono più punti di incontro virtuoso che parziali disaccordi, a volte maldestri, tra le parti». Quanto al problema dei migranti, sempre più all’ordine del giorno, Juncker ha riconosciuto che l’Italia ha tenuto «una condotta esemplare. Dal 2011 l’Italia è un modello sui migranti. Se tutti i paesi Ue avessero lo stesso comportamento, i problemi sarebbero meno gravi. Sulla redistribuzione dei profughi non mollo. Vanno applicate le misure decise».
EUROZONA – Ma se ufficialmente appare che siano tornate rose e fiori fra Roma e Bruxelles, a guastare l’atmosfera è arrivato il ‘country report’, il documento tecnico di analisi delle economie e delle condizioni per la crescita dei paesi dell’Eurozona. Quello per l’Italia è pieno di ombre più che di luci. E si traduce in questa drastica conclusione: che l’Italia per molti versi frena lo sviluppo dell’ eurozona.
ITALIA – Questa la frase nodale del rapporto:« data la sua centralità nella zona euro, l’Italia è fonte di potenziali ricadute sugli altri Stati membri, mentre la ripresa italiana risente a sua volta delle condizioni esterne. In questo contesto, le debolezze strutturali continuano a frenare la capacità dell’Italia di crescere e reagire agli shock economici, e quindi la ripresa modesta e le debolezze strutturali del Paese influiscono negativamente sulla ripresa e sul potenziale di crescita dell’Europa». Inoltre nel 2015 il Pil reale dell’Italia è tornato ai livelli dei primi anni 2000, mentre il Pil della zona euro era superiore a quei livelli di oltre il 10%. Gli investimenti hanno registrato una drastica flessione, in media più accentuata che nel resto della zona euro… e si è allargato il divario che separa la crescita potenziale dell’Italia dal resto della zona euro. Quanto al settore finanziario, sebbene abbia dimostrato una relativa resilienza durante la crisi finanziaria mondiale, la prolungata recessione ha causato l’accumulo di uno stock considerevole di crediti deteriorati, indebolendo la capacità delle banche di sostenere la ripresa.
PROGRESSO – Si riconosce però che qualche progresso lo abbiamo compiuto, nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche per Paese del 2015. Si ricordano la riforma del mercato del lavoro, dell’istruzione e le misure importanti per le banche. Ma in alcuni settori fondamentali vi è margine per ulteriori interventi: spending review, tassazione sulla prima casa, catasto, fisco, contrattazione collettiva e termini prescrizione.
FISCO – Una bacchettata anche in tema fiscale: l’abolizione dell’imposta sulla prima casa a partire dal 2016 non è in linea con le reiterate raccomandazioni del Consiglio di spostare la pressione fiscale dai fattori produttivi ai consumi e ai beni immobili. E sul debito pubblico: Il debito pubblico estremamente elevato rappresenta un notevole onere economico e una fonte di vulnerabilità.
I risultati del rapporto Ue sono un assist per le opposizioni che tornano ad attaccare il premier: «Report Ue sbugiarda Renzi. Altro che 25 miliardi di tagli: spesa pubblica in costante crescita. And now?» scrive su Twitter Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia.
Ed è significativo che Renzi e Juncker, nella conferenza stampa congiunta, non abbiano fatto cenno ai problemi e ai rilievi sollevati proprio dalla Commissione nei confronti dell’Italia. Ma Juncker aveva affermato fin dall’inizio che la sua missione era volta a ricucire i rapporti con il nostro paese.