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Sanità: il federalismo sanitario accresce le differenze. Toscana in vetta dietro al Veneto

Gli ispettori del Ministero della Salute a lavoro negli ospedali di Grosseto ed Orbetello

ROMA – Se qualcuno voleva la riprova di come il federalismo sanitario abbia finito per aumentare le diseguaglianze degli italiani in fatto di tutela della salute troverà la conferma nell’ultimo Rapporto Crea sulle performance dei servizi sanitari regionali, redatto dall’Università Tor Vergata di Roma.

Una fotografia di un’Italia dell’assistenza sanitaria che va a tre velocità, dove a fare la differenza sono i soldi che le regioni mettono a disposizione per ciascun assistito, e sta peggio chi ha meno risorse. Colpa di scelte fatte dalle singole amministrazioni. Ma anche di un sistema di riparto del fondo sanitario dove le regole le dettano le regioni più ricche e con maggior peso politico. Tant’è che «l’indice di deprivazione», ossia il peso della povertà nelle condizioni di salute della popolazione, caldeggiato dalle regioni meridionali, non è mai entrato a far parte dei criteri di riparto delle risorse.

Nella fascia di «eccellenza» ritroviamo, nell’ordine, Veneto, Trento, Toscana e Piemonte. In quella «critica» Liguria, Valle d’Aosta, Abruzzo, Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, mentre tutte le altre si trovano in una terra di mezzo, segnata però da insufficienze. Nella classifica sulla scala da 0 a 1, stilata sulla base delle valutazioni di manager asl, utenti, professionisti sanitari, istituzioni e industria medicale, la maglia gialla la conquista il Veneto, ma solo con uno 0,63 (sostanzialmente un misero 6+).

I voti sono stati assegnati sulla base di 12 indicatori, che vanno dalla speranza di vita priva di disabilità, alle morti evitabili, dalle famiglie impoverite per colpa delle spese sanitarie, alla spesa per assistito. Ed è proprio quest’ultima che condiziona le altre classifiche. Perché pur ripulendo il dato dai maggiori costi sostenuti per la popolazione anziana, la Campania, ultima in classifica per qualità dell’assistenza, lo è anche per quota di spesa pubblica pro-capite con 1795 euro. Molti meno della ricca Bolzano, che ne spende 2313 o della vicina Trento, che ne sborsa 2281. Anche se poi l’equazione «più soldi uguale migliore Sanità» non regge sempre alla prova dei fatti, visto che l’«eccellente» Piemonte non va oltre una spesa di 1846 euro, una ventina in meno della media nazionale.

Ad esempio la quota di persone che rinuncia a curarsi per super-ticket o liste d’attesa varia in modo notevole: il 15,3% in Campania, il 13,9 in Puglia e l’11,6 in Calabria non ce la fa a sostenere le spese, mentre a Trento rinuncia a curarsi meno dell’1% e in Piemonte, Friuli e Basilicata (isola felice del Sud) la quota è intorno al 3%.

Uno fra i (pochi) lati positivi della riforma costituzionale è proprio quello del ritorno allo Stato della competenza di riequilibrare il livello dei servizi fondamentali, fra cui la salute, mettendo da parte le voraci e incapaci regioni, fonte di incommensurabili sprechi e diseguaglianze.

 

 

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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