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I dieci anni del Pd, assenti molti padri fondatori. Festeggia solo Renzi

Al teatro Eliseo a Roma, con la regia di Renzi, si sono celebrati i 10 anni di un Pd che non esiste più, lacerato e diviso al suo interno, ha perso tutti i padri fondatori. Soltanto Renzi esulta sui social (stavolta istagram), come sua ormai inveterata abitudine: «Bellissima giornata al Teatro Eliseo a Roma per il decennale del PD. Con Walter Veltroni e @paologentiloni abbiamo raccontato tante cose fatte insieme. Ma abbiamo anche e soprattutto raccontato perché scommettiamo sul futuro. Una forza di centrosinistra non può che credere nel progresso, nel miglioramento, nella novità. E dopo le tante, giuste, rivendicazioni dei #millegiorni, abbiamo iniziato a lanciare alcune proposte per il futuro. Lo faremo sempre di più».

All’ottimismo di Renzi fa da contraltare la storia di una formazione politica il Pd, nata con esaltanti prospettive dalla fusione di due distinti partiti, Ds e Margherita che dal 14 ottobre 2007 prese di fatto forma dal progetto dell’Ulivo di Romano Prodi. Il 14 ottobre è la data dell’elezione della costituente per il Pd, qualche mese prima, in aprile, Ds e Margherita avevano tenuto i propri ultimi congressi.

Un po’ di storia per ricordare i passaggi salienti. Primo segretario del Pd fu Walter Veltroni che, qualche mese prima, a marzo, aveva lanciato dal Lingotto la sua candidatura in uno storico discorso.  «Fare un’Italia nuova. È questa la ragione, la missione, il senso del Partito democratico», l’esordio. Sconfitto dalla Pdl alle elezioni 2008 (alle quali si era presentato solo in alleanza con l’Idv) e dopo la perdita della regione Sardegna, nel febbraio 2009, Veltroni si dimette da segretario.

Dario Franceschini funge da segretario ‘traghettatore’ fino alle successive primarie. Che vengono vinte da Pier Luigi Bersani. Dopo la caduta del governo Berlusconi e il governo Monti nel febbraio 2013 si tengono le elezioni politiche il Pd è il primo partito ma perde moltissimi voti e non è in grado di governare. Dopo il blitz dei 101 franchi tiratori nell’elezione del presidente della Repuubblica contro Romano Prodi, Pier Luigi Bersani si dimette da segretario.

Il segretario ‘traghettatore’ questa volta è Guiglielmo Epifani. Scatta il rinnovamento del partito e ne approfitta il sindaco di Firenze, Matteo Renzi che si candida alle primarie per la segreteria e viene eletto battendo Gianni Cuperlo e Pippo Civati.

E’ il via all’era Renzi, che sopravvive, a livello politico, anche alla sconfitta del referendum costituzionale, sul quale aveva puntato tutte le sue carte, promettendo che in caso di sconfitta avrebbe abbandonato la politica. Promessa ovviamente non mantenuta, come moltissime altre, la maggior parte. Il rottamatore abbandona però la guida del governo, ma non quella del partito, che guida alla sconfitta delle ultime elezioni amministrative, nella quale il Pd perde molte grandi città.

Adesso la scommessa per le prossime politiche 2018, nelle quali – ammesso che il Pd conquisti la maggioranza, cosa tutta da vedere – non è proprio certo che il boy scout fiorentino ottenga l’investitura per la carica di presidente del Consiglio, vista la concorrenza dell’attuale premier Gentiloni – che marcia in pieno accordo col Presidente Mattarella – e soprattutto del ministro dell’interno Marco Minniti, che sta acquisendo sempre maggior credito e popolarità non solo all’intero del partito, ma anche fra molti esponenti del centrodestra. Tenuto conto dei meccanismi del nuovo sistema elettorale, se andrà definitivamente in porto, non si tratta di un elemento di poco conto. Dunque molti campanelli d’allarme stanno suonando alle orecchie del rottamatore. Saprà coglierne il significato e reagire? La risposta nei prossimi mesi.

involuzione, pd, Prodi, renzi, ulivo


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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