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Elezioni siciliane: Pd débacle, precipita al 18%. Ma i renziani danno la colpa a Grasso, che reagisce

L’Assemblea regionale Sicilia

I dati ormai consolidati degli scrutini effettivi, anche se non definitivi, danno Nello Musumeci, candidato del centrodestra, al 39,2%, vincitore delle elezioni siciliane, mentre il candidato del M5s Giancarlo Cancelleri arriva a un lusinghiero 34,9%. Fabrizio Micari, cabdidato del pd voluto da Renzi e da Crocetta, precipita al 18,9%, una débacle che avrà ripercussioni anche a livello nazionale per la leadership del rottamatore, che si avvia a essere rottamato, almento come cndidato premier per il 2018. I dati sulle liste danno il Movimento cinque stelle al 28%, Forza Italia al 13% e il Pd intorno all’11. L’unica consolazione, magra, di Renzi è di non essere arrivato quarto dopo i Cento Passi di Claudio Fava, che ha aggregato i bersaniani con la sinistra di Nicola Fratoianni rimanendo lontano però dalle percentuali del candidato dem.
A vincere è stato però il partito del non voto: solo il 46,76% ha votato per l’elezione del presidente della Regione e dell’Assemblea, mentre il 53,23% ha disertato le urne. Rispetto al 2012 quando aveva votato il 47,41%, il dato dell’affluenza è stato in calo dello 0,65%.
Sono partite già le polemiche interne e il sottosegretario Faraone, renziano doc, per togliere le castagne dal fuoco al segretario, non ha trovato di meglio che …. accusare di viltà il Presidente del senato Pietro Grasso (Micari ha avuto il coraggio che Grasso non ha avuto). Subito rimbeccato dal portavoce di Grasso: «Il presidente del ha comunicato ufficialmente e con parole inequivocabili l’impossibilità, per motivi di carattere istituzionale, di candidarsi alla Regione Siciliana il 25 giugno scorso. (…) Imputare a Grasso il risultato che si va profilando per il Pd, peraltro in linea con tutte le ultime competizioni amministrative e referendarie, è quindi una patetica scusa, utile solo ad impedire altre e più approfondite riflessioni, di carattere politico e non personalistico, in merito al bilancio della fase attuale e alle prospettive di quelle future».
Un carico da 90 nei confronti dei renziani, che conferma una sconfitta annunciata, sconfitta pesante del centrosinistra diviso in Sicilia. In Campo progressista si afferma già: non è che smaniamo di correre da Renzi. Ormai chi lo tocca muore, vista la serie di sconfitte. E si spera che nel Pd qualcuno si faccia sentire. Se c’è una candidatura alternativa a quella di Renzi: se non ora, quando? è la domanda rivolta a chi ha manifestato perplessità in questi mesi da Andrea Orlando a Dario Franceschini, compreso Romano Prodi. Se ci fosse in campo uno come Gentiloni sarebbe tutto un’altro film…, si osserva.

Mentre da sinistra Pisapia sembra sempre più intenzionato a rimanere autonomo e a non fare perniciose alleanze con i renziani. E resta netta al momento anche la chiusura di Mdp. Il voto in Sicilia non ha premiato neanche i fuoriusciti dem, ma per i demoprogressisti il dato delle elezioni siciliane conferma che con Renzi e le sue politiche si va a sbattere. Gianni Cuperlo parla di errore da parte del Pd: «Quando la casa brucia bisogna bloccare i piromani e spegnere l’incendio. Dopo il voto siciliano rinfacciarsi le colpe e’ la scelta peggiore mentre aggredire la seconda carica dello Stato aggiunge solo confusione e offese».

E’ stata dunque consolidata l’opinione prevalente a sinistra e in alcune frange del Pd, Renzi non è assolutamente l’uomo giusto per riunire, ma è capace solo di dividere. Vista la situazione il rottamatore (in predicato di essere rottamato)  si trova adesso in un vicolo cieco: andare da solo alle elezioni, con qualche piccolo alleato al centro e a sinistra, oppure accettare l’indicazione di Gentiloni o di un altro federatore. I numeri dei sondaggi che circolano al Nazareno, ma anche il risultato delle elezioni siciliane, dicono che unito il centrosinistra se la può battere con il centrodestra, diviso invece perde.

C’è chi scommette che la forza dei numeri e il pressing degli alleati potrebbe spingere il segretario dem al gesto di generosità consigliato da Orlando e Franceschini. Ma per ora Renzi sembra non voler cedere e ripete: «Il leader sono io, devono essere gli italiani e non dei dirigenti di partito a decretare conclusa la mia stagione politica». Andare avanti a testa bassa dal referendum in poi gli è costato soltanto cocenti sconfitte, ma se continua su questa strada la prossima potrebbe essere quella definitiva.

 

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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