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Europa: il servizio volontario europeo, un’opportunità anche per i millennials

ROMA – Dalla rubrica Ansa  #Vistodaimillennials, che dà la parola ai giovani, riprendiamo un articolo interessante, elaborato proprio da una millennials,  Francesca Polignano, che illustra il Servizio volontario europeo.

Si tratta di un progetto finanziato dalla Commissione Europea che permette ai giovani comunitari, dai 18 ai 30 anni, di svolgere un’attività di volontariato all’estero. Lo SVE, però, non è solo volontariato. È vivere in un nuovo Stato, imparare e parlare una o più lingue straniere, stringere legami fortissimi con coetanei provenienti dai diversi stati dell’Unione, e non solo.

Per chi vuole partire all’estero e magari lavorare lì, lo SVE rappresenta la soluzione migliore in quanto si è seguiti dalle varie organizzazioni responsabili del progetto. Da contratto, infatti, al volontario viene offerto vitto e alloggio, un corso per imparare la lingua locale e un pocket money, grazie al quale si è economicamente indipendenti.

Ma come si fa a partecipare? Sul sito dedicato, sono proposti tutti i progetti disponibili. Ce ne sono alcuni dedicati all’ambiente, all’insegnamento della lingua inglese, al lavoro in asili o case di riposo, alla creazione di eventi. Insomma, viene data l’opportunità di inserirsi nell’ambito più affine alla propria personalità o ai propri bisogni.

Dopo aver mandato la candidatura la sending organization e receiving organization selezionano il candidato perfetto. Spesso si viene messi in lunghe liste d’attesa e, proprio come durante un colloquio di lavoro, non mancherà il classico “le faremo sapere”. Se si è tra i fortunati scelti, ci possono essere videochiamate Skype per valutare la lingua inglese o incontri di persona per prepararsi alla partenza.

Nonostante gli utili preliminari, è quando si arriva in quella che sarà una nuova casa per tre, nove o dodici mesi, che si scopre davvero cosa è lo SVE. Pian piano si conoscono i nuovi coinquilini, le persone con cui si dovrà lavorare, e soprattutto sé stessi.

Ci si rende conto dei propri limiti, di quanto ce la si cava con le lingue e di quanto, in poco tempo, il modo di pensare cambia. Vivendo con ragazzi di altre nazionalità si scoprono usi, che per noi italiani possono sembrare strani. Così ci si deve armare di pazienza e sviluppare un forte spirito di adattamento e di intraprendenza. Sono queste le doti per portare a termine un progetto SVE, e successivamente per potersi inserire in qualsiasi altro ambiente più o meno interculturale.

Lo SVE non è un anno perso, è un modo per diventare cittadini del mondo, per vincere i pregiudizi e dare un contributo attivo per la promozione dell’integrazione multiculturale e mentre in politica stanno velocemente avanzandole tendenze antieuropeiste, forse dovremmo informarci e scoprire il positivo che c’è, e cioè quanto l’Europa può fare per i suoi cittadini, soprattutto per i più giovani.

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