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Pensioni: La Cedu ha già condannato, nel 2017, l’Italia per leggi retroattive che stravolgevano il calcolo delle pensioni

ROMA – Non passa giorno che il vice premier e ministro del Lavoro non rinnovi l’impegno a decimare quelle che lui definisce pensioni d’oro, per le quali sembra aver fissato l’asticella a 4.000 euro mensili,  attraverso un ricalcolo su base contributiva. L’obiettivo nobile, viene detto con non poca retorica, sarebbe quello di ristabilire l’equità e redistribuire le risorse così ottenute ai pensionati al minimo, uno slogan lanciato per primo dal traballante Tito Boeri, Presidente, ahinoi, dell’Inps nominato a suo tempo da Renzi.

La Cida, confederazione rappresentativa di categorie professionali che sarebbero colpite dall’intervento in materia previdenziale, ha più volte denunciato la falsità dell’assunto, l’incongruenza della decisione politica e la evidente illegittimità giuridica di un siffatto provvedimento. E lo conferma il Presidente, Giorgio Ambrosoli, che ha chiesto un incontro al vicepremier Di Maio, senza ovviamente ottenerlo. Intanto Ambrosoli ha affermato alcuni principi significativi:

«Il ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni già erogate con il sistema retributivo o misto è praticamente impossibile. Per moltissime categorie, fra le quali molti dirigenti statali, mancano i dati per ricostruire il montante contributivo. Estremamente complicato, ancora, è applicare un coefficiente di capitalizzazione corretto che dovrebbe essere collegato all’effettiva dinamica del Pil (e che quindi non può essere solo presuntivamente ricostruito). Anche calcolare correttamente i coefficienti di rivalutazione è arduo, con il rischio che risultino totalmente arbitrari. Sui coefficienti di rivalutazione, inoltre, va fatta chiarezza: le pensioni alte sono state fortemente penalizzate con coefficienti di rivalutazione decrescenti, fino allo 0,90%, che hanno spesso portato l’indice di sostituzione anche al 60%. Fra l’altro, chi aveva questo coefficiente di rivalutazione ha anche già pagato imposte dirette altissime nel corso di tutta la vita lavorativa.

Ed è proprio sul capitolo fisco che va posta attenzione, perché strettamente collegato alle pensioni di importo medio-alto. Secondo gli ultimi dati disponibili relativi alle dichiarazioni ai fini Irpef 2016, i redditi lordi sopra i 100 mila euro rappresentano l’1,10% dei contribuenti (pari a 451.257 contribuenti), che tuttavia coprono da soli il 18,68% (18,17% nel 2015) dell’Irpef. Sommando a questi scaglioni anche i titolari di redditi lordi superiori a 55.000 euro, si ottiene che il 4,36% dei contribuenti paga il 36,53% di tutta l’Irpef. Il vero paradosso del sistema va rilevato tra questi due estremi delle classi di reddito dichiarato: il 44,92% dei cittadini paga solo il 2,82%, mentre il 12,09% ne paga ben il 57,11% (56,66% nel 2015) che va sostanzialmente a finanziare il sistema di welfare nazionale. Eppure queste categorie professionali, sono colpite sia come percettori di redditi da lavoro con l’eccessivo prelievo fiscale, sia come titolari di pensioni medio-alte, subendo blocchi di perequazione al costo della vita e continui contributi di solidarietà».

Sottoscrivo una per una le affermazioni di Ambrosoli, e osservo, agguiungedovi un carico da 90, che l’adozione di leggi retroattive che stravolgono il sistema di calcolo delle pensioni, con sacrifici esorbitanti per i pensionati, a Strasburgo è già stata dichiarata una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con una recente sentenza (ricorso 21838/10) della Cedu del giugno 2017. La Corte ha dichiarato infatti che l’adozione di una legge che porta a un ribaltamento del sistema del calcolo delle pensioni e che viene  applicata   retroattivamente, con sacrifici sproporzionati per i pensionati è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Strasburgo ha ritenuto contraria alla Convenzione l’applicazione retroattiva della legge a danno dei pensionati ricorrenti, che hanno subito un grave pregiudizio, con una riduzione di più della metà dell’importo della pensione, segno evidente di tagli sproporzionati e irragionevoli. La conseguenza è che lo Stato viene condannato a corrispondere ai ricorrenti un risarcimento per il danno patrimoniale subìto.

A tutto questo non pensano (forse, dimostrando ignoranza giuridica, non lo sanno) i vari Boeri, Di Maio, Salvini e compagnia, e non si rendono conto che saranno sommersi da decine di migliaia di ricorsi, destinati ad essere accolti. Ma non se ne preoccupano, basta l’effetto annuncio, poi tanto non pagheranno certo loro, ma il solito Pantalone. Cambiano i partiti, cambiano gli esponenti politici, ma il livello resta sempre infimo e denotato da grande irresponsabilità. Conta soltanto l’apparire, più che la sostanza. Il rottamatore ha fatto scuola, ma non è certo una buona scuola.

Boeri, Di Maio, pensioni, tagli


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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