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Pensioni d’oro: pietra tombale della Lega sui tagli progettati. Lo studio di Brambilla, consigliere economico di Salvini

ROMA – Un articolo di Repubblica rivela le intenzioni della Lega sul taglio delle pensioni d’oro, anticipando uno studio di itinerari previdenziali – vale a dire di Alberto Brambilla, consigliere economico di Salvini – che boccia in toto la proposta giallo-verde di taglio alle pensioni d’oro. Lo studio definisce così il progetto: «Retroattivo. Iniquo. Arbitrario. E dunque incostituzionale. Ma soprattutto irrealizzabile». Sono teorie e concetti che Brambilla e itinerari previdenziali predicano da mesi, sia pure a pezzi. Lo studio ha il merito di raccoglierli tutti con in più le valutazioni ultime di Brambilla e un significativo esempio di come sarebbe decurtata la sua pensione.  E dunque si tratta di opera meritoria che val la pena di divulgare, per cercare di chiarire le idee ai pensionati smarriti.  Brambilla torna in definitiva alla vecchia idea dei contributi di solidarietà, già una volta approvati dalla Consulta, ma in via eccezionale. Con un’importante annotazione, che il giornale e lo studio non mettono in evidenza: la tabella esplicativa,  che pubblichiamo qui sotto, degli effetti ai quali porterebbe il taglio della proposta giallo-verde o quello brambilliano, si riferisce alle ipotesi di chi è andato in pensione a 59 anni nel 1985 o a 60 anni nel 2010. Si tratterebbe di tagli importanti (15,3% o 14.6%), ma solo per chi ha anticipato di molto la pensione.

Riprendiamo l’analisi del giornale di Scalfari che anticipa lo studio di itinerari Previdenziali: « In 37 pagine fitte di tabelle, Brambilla spiega perché è meglio procedere chiedendo ai pensionati italiani un contributo straordinario di solidarietà di tre anni per sostenere la non autosufficienza e l’occupazione di giovani, over 50 e donne. Il taglio secco e permanente assolutamente non è un ricalcolo, come invece ripete il ministro Luigi Di Maio, ma una decurtazione in base all’età di uscita confrontata con una età fittizia più alta, ora rideterminata in modo retroattivo – che penalizzerebbe soprattutto le pensioni di anzianità di chi ha lavorato per 40 anni e oltre, i lavoratori precoci, le donne che fino al 2011 dovevano uscire per legge 5 anni prima degli uomini. A dare una valenza politica al documento in sé tecnico, trasformandolo nella pietra tombale leghista del pdl ancora sponsorizzato da MSS, si ricorda che il 70% dei tagli cadrebbero al Nord, dove prevalgono appunto gli assegni di anzianità. Questo potrebbe causare qualche problema all’elettorato della Lega perché ci sarebbe un trasferimento di risorse Nord-Sud, visto che la maggioranza delle pensioni assistite è al Sud». Una frase chiave che bombarda l’idea stellata di usare il gettito del taglio per finanziare la pensione di cittadinanza a 780 euro al mese. Solo per portare a questa soglia gli assegni di invalidità ci vogliono 6 miliardi, si legge nel documento che stima le nuove entrate in appena 330 milioni nel primo anno, al lordo dei ricorsi «che avrebbero ottime probabilità di successo. Anziché smontare la Fornero poi, la si rafforza in peggio, aumentandone la rigidità: nel 2019 si dovrà lavorare di più per evitare il taglio. E infine per stessa ammissione dei vertici Inps, qualsiasi ricalcolo contributivo non è attuabile, perché mancano gli estratti conto dei versamenti contributivi degli statali, ad esclusione degli ultimi 5-10 anni. E stimiamo un buco anche nel settore privato nel 20-30% dei casi. Il documento di Brambilla riporta in allegato il riferimento all’audizione in commissione Lavoro della Camera del 15 marzo 2016 in cui Inps dichiarava l’impossibilità di procedere per assenza o carenza dei dati, a proposito del ricalcolo contributivo delle pensioni sopra i 5 mila euro lordi proposto da Giorgia Meloni. Aggiungendo infine che molte pensioni, se ricalcolate con il contributivo, aumenterebbero. A seguire, c’è anche una curiosa mail dell’attuale presidente Inps Tito Boeri allo stesso Brambilla di qualche anno fa. L’esperto leghista chiede il ri- calcolo contributivo della sua pensione retributiva, pari nel 2013 a 7.748 euro lordi al mese. L’Inps gli risponde che dovrebbe prendere 150 euro al mese in più, per via del riscatto della laurea. E  che quindi non si può. Con la nuova legge Molinari-D’Uva Brambilla avrebbe un altro 10% di taglio, a fronte di oltre 2 milioni di euro di contributi versati in una vita di lavoro, già oggi superiori a quanto finisce nel suo cedolino pensionistico. Mi domando in cosa consista l’equità. Un caso personale usato qui come grimaldello politico. Per affossare un progetto di legge che però anche la Lega ha firmato. Ma anche per denunciare il colpo basso alla classe dirigente del Paese: 80 mila pensionati privilegiati, lo 0,5% del totale, che pesano sulla spesa previdenziale per 7,4 miliardi all’anno su 290 (il 2,55%). Si tratta di professionisti (il 6,5%, ma in questo caso il gettito finirebbe nelle casse privatizzate non all’Inps), statali (51,5%), privati e autonomi (42%). Il 30% è andato in pensione prima di 60 anni: motivi personali, dimissionati per raggiungimento dei requisiti, prepensionati. Un altro 30% si è ritirato tra 60-65 anni. Circa il 40% dopo i 65 anni. Il taglio degli assegni varia tra un minimo di 3 a un massimo del 21-23%. Ma come calcolarlo? Sulla sola parte retributiva eccedente gli 80 mila euro lordi, si chiede Brambilla, oppure su tutta la pensione retributiva, fermo restando la clausola di salvaguardia: nessuno percepirà meno di 80 mila euro? Il testo non è chiaro».

Brambilla, inps, pensioni d'oro


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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