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Il pericolo della penetrazione cinese in Italia, l’allarme del Copasir

Un articolo di Marco Ludovico sul Sole 24 Ore del 9 novembre ha incentrato l’attenzione sul pericolo di un’infiltrazione economica cinese in Italia, della quale si avevano tracce, ma non così evidenti come quelle tracciate da una relazione del Copasir, il Comitato Parlamentare per la sicurezza. Il Comitato ha fornito un quadro molto preoccupante sulla strisciante conquista delle nostre aziende, nei settori più importanti e strategici, a partire da quelli energetico e finanziario, da parte di società cinesi.

Finanziamenti, investimenti, imprese, occupazione: la penetrazione economica cinese in Italia è irrefrenabile, in aumento continuo senza eccezioni. La mappa aggiornata spicca nella relazione appena approvata del Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sulla tutela degli asset finanziari nazionali strategici. Nel documento c’è un apposito addendum sulla Cina, A fine 2019 «risultano direttamente presenti in Italia 405 gruppi cinesi, di cui 270 della Repubblica Popolare Cinese e 135 con sede principale a Hong Kong, attraverso almeno un’impresa partecipata. Le imprese italiane partecipate da tali gruppi sono in tutto 760 e la loro occupazione è di poco superiore a 43.700 unità, con un giro d’affari di oltre 25,2 miliardi di euro.

Le attività delle imprese italiane a partecipazione cinese sono diversificate e si dividono tra i principali comparti. Nota il documento del Copasir, comitato presieduto da Raffaele Volpi (Lega), relatori Enrico Borghi (Pd) e Francesco Castiello (M5S): «Le acquisizioni avvengono con sistematicità ad ogni livello, nei settori a più alto valore aggiunto o più strategici». Si segnalano «multinazionali come StateGrid e ChemChina. La prima ha da diversi anni una significativa quota del 35 per cento nella finanziaria delle nostre reti energetiche elettriche – Cdp Reti S.p.A. – che controlla Snam, Terna, Italgas. ChemChina, invece, è detentrice della maggioranza (45 per cento) delle quote di Pirelli & C. S.p.A».Di più: «Energia, reti, aziende ad alto potenziale strategico e innovative vedono una grande concentrazione di capitali cinesi» anche se «il flusso si è recentemente interrotto con la pandemia da Coronavirus». Si ricorda come «la Shangai Electric Corporation ha comprato – già nel 2014 – il 40 per cento di Ansaldo Energia S.p.A. (con sede a Genova), mentre quote di Eni, Tim, Enel e Prysmian sono sotto il controllo della People’s Bank of China, la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese». Altre grandi imprese italiane con quote detenute dai cinesi sono «Intesa SanPaolo, Saipem, Moncler, Salvatore Ferragamo, Prima Industrie».

Nell’ambito degli investimenti di capitali cinesi nel nostro Paese non si possono trascurare gli investimenti effettuati attraverso fondi di investimento, società di gestione del risparmio, società fiduciarie italiane ed estere o società finanziarie, le quali in qualche modo schermano l’identificazione del titolare effettivo degli investimenti. Si pensi che il fondo sovrano cinese China Investment Corporation (CIC) realizza i propri investimenti in Europa prevalentemente attraverso alcune catene societarie di diritto lussemburghese». La distribuzione territoriale delle imprese partecipate cinesi «si concentra per i 4/5 del totale nelle regioni settentrionali. Spicca la Lombardia, che ospita 258 imprese a capitale cinese, pari a oltre il 46 per cento del totale. Seguono il Lazio con 68 imprese, l’Emilia-Romagna con 54, Piemonte e Veneto con 40 ciascuna». Da notare poi come «sul territorio italiano operano – secondo i dati del Registro delle Imprese – 50.797 imprenditori nati nella Repubblica Popolare Cinese. In base ai dati raccolti, quasi 20mila imprenditori cinesi sono attivi nel commercio e 17mila nel manifatturiero. Ci sono poi oltre 7mila imprese dell’hotellerie e ristorazione, e oltre 4mila nei servizi alla persona».

Questo quadro ci conferma quanto fossero miopi le affermazioni, a suo tempo lanciate da Prodi quale Premier italiano nel 2006, confermate poi come Presidente della Commissione Ue. Le riporta Repubblica del   14 settembre 2002: «Le imprese italiane e quelle cinesi, insieme, possono crescere e svilupparsi nelle aree interne della Cina e  cogliere le opportunità che ci pongono anche in altri dinamici mercati asiatici e internazionali. Sono convinto allo stesso tempo che lo stesso principio valga anche per le opportunità che il mercato italiano offre per quelle imprese cinesi che non soltanto intendano vendere, ma anche investire in Italia, tenendo conto dei grandissimi vantaggi geo-strategici che il nostro paese, porta d’ ingresso nel mediterraneo e nell’ Europa, può offrire anche alle imprese civili».

Secondo Prodi dunque la Cina era una grande opportunità. Sicuramente dei rapporti con Italia e Europa hanno beneficiato soprattutto i cinesi, non il nostro Paese. E come dimenticare le affermazioni recenti di esponenti della sinistra che, pur di contrastare le posizioni della Lega, ripetevano lo slogan «abbraccia un cinese».

Ora che i pericolo cinese in casa risulta evidente, forse anche il Pd prenderà in seria considerazione l’allarme lanciato non dai deprecabili leghisti, ma del Comitato Parlamentare per la sicurezza, con un documento del quale un suo esponente era anche relatore. ma ormai sarà troppo tardi, si chiudono le stalle dopo che i buoi sono scappati. I dati elencati dal Copasir sono impietosi per le sinistre filocinesi.

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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