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Morales fu un grande sindaco di Firenze, ma litigai con lui per Batistuta

Gabriel Omar Batistuta, ex centravanti della Fiorentina, diventato cittadino onorario di Firenze il 3 ottobre 2016

Parlavo quotidianamente con Giorgio Morales, prima vicesindaco, eppoi sindaco di Firenze. Cosa normale perchè, in quegli anni, Ottanta e Novanta, ero al vertice della cronaca fiorentina de La Nazione. Morales, sindaco socialista proprio nel momento in cui i partiti della Prima Repubblica stavano crollando sotto i colpi di Tangentopoli, aveva grande visione politica e il coraggio delle azioni. Era intelligente, colto, concreto. Secondo me è stato uno dei migliori sindaci, insieme a Mario Fabiani, primo cittadino comunista nell’immediato dopoguerra; a Giorgio La Pira, democristiano, capace di far diventare Firenze crocevia del mondo; a Piero Bargellini, straordinario sindaco dell’alluvione. Morales, amministratore rigoroso e di stampo europeo, aveva il senso dell’Istituzione. Con la I maiuscola. E proprio qui sta il motio di queste righe di ricordo.

Per lui, adolescente in tempo di guerra, la politica e il ruolo erano cose serie. Lontano anni luce, Giorgio Morales, dai politici dei selfie e da quelli che vanno a Ballando con le Stelle. Onorificenze e riconoscimenti, per lui, dovevano essere assegnati con motivazioni vere, forti.  Aveva visto premiare, e premiato, nel Salone di Cinquecento, gli ex partigiani e gli Angeli del fango. Aveva assegnato il Fiorino d’oro, simbolo di Firenze, a personalità della cultura e premi Nobel. Io lo seguivo nelle sue battaglie: per ridisegnare il piano regolatore, per risistemare l’Arno (che purtroppo continua a minacciare Firenze e due terzi della Toscana) e negli scontri, non infrequenti, con il governo che spesso dimenticava il ruolo, e l’importanza, di Firenze.

Ma una domenica mi presi la libertà, allo stadio Franchi, d’intervistare Morales sulla Fiorentina. Perchè ? Stanco di dover scrivere tutti i giorni di politica e di cronaca, avevo deciso, almeno un giorno la settimana, appunto quello della partita, di tornare a occuparmi del pallone, primo amore della mia carriera di giornalista. Mi ero inventato gli articoli sulla tribuna vip, il cosiddetto nido dei santoni. Erano gli anni in cui Vittorione Cecchi Gori saliva in balaustra sotto lo sguardo sconcertato del babbo Mario. In quella tribuna si siedeva Naomi Campbell, vestita rigorosamente di viola. E sempre nel mitico emiciclo, il prefetto Achille Serra, efficiente nel ruolo ma tifoso giallorosso, venne aspramente rimproverato da Valeria Cecchi Gori, mamma di Vittorio, per aver esultato a un gol della Roma.

E allora, in quella tribuna vip, dopo una giornata di gloria per la Fiorentina, festeggiata dai gol di Gabriel Omar Batistuta  (tempi lontanissimi, se paragonati al grigiore di oggi…), chiesi a Morales se non fosse il caso di far diventare quel ragazzo argentino un po’ fiorentino. Assegnandogli la cittadinanza onoraria. Lui, forse sopra pensiero, annuì. Io feci un titolo strillato su Batistuta cittadino di Firenze. Con tanto di virgolette attribuite al sindaco. Il giorno dopo, prima della riunione del consiglio comunale, mi arriva una busta su carta intestata: era la smentita. L’unica, lo giuro, ricevuta in carriera. Quindi la telefonata: «Non mi pare il caso di concedere la cittadinanza onoraria al centravanti della Fiorentina. Bisogna aver fatto altro per ottenerla».

Ovviamente pubblicai la lettera di Morales. E mi scusai:  dissi che avevo capito male. I rapporti quotidiani non risentirono dell’episodio. E continuai ad avere notizie in anteprima. Quelli che qualcuno ama chiamare scoop.  Seppi in anticipo, per esempio, che ci sarebbe stato l’accordo con la Fiat di Romiti per la variante di Novoli (che Occhetto aveva stoppato anni prima): dove sarebbero nati il Palazzo di Giustizia, un nuovo pezzo dell’Università, case, centri commerciali. Ma credetti di potermi prendere la rivincita nell’autunno del 2016. Il 3 ottobre, in Palazzo Vecchio, il sindaco Nardella aveva conferito a Batistuta proprio cittadinanza onoraria. Senza troppa deferenza chiamai Morales, ormai in pensione e affogato nei suoi libri, e dissi: «Hai visto, non avevo ragione io?». Glaciale la risposta: «Sì, ma avevi semplicemente sbagliato periodo!».

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sandro Bennucci

Direttore del Firenze Post Scrivi al Direttore

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