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Franco Manescalchi in prosa tra nostalgia e autobiografia

Firenze, 8 luglio 2014 – Un libro verità sull’abbandono del podere
negli anni Cinquanta, un testo a tratti autobiografico incentrato sul
rapporto con la terra e sulle tradizioni del passato contadino. Con "I
giorni dell’esodo" (Polistampa, «Corymbos», pp. 112, euro 10) il poeta
Franco Manescalchi si dedica alla prosa dando vita a una coinvolgente
narrazione a tre voci sul filo del ricordo e della nostalgia.
L’opera, che si basa sul racconto in prima persona di tre diversi
componenti di una famiglia, è divisa in due segmenti temporali:
all’"Abbandono", che segna la fine della vita in campagna, segue
l’"Inurbamento", una fase di transizione in cui la città e il podere
ancora episodicamente convivono. Guido, il capofamiglia, narra della
sua vita libera, anche se faticosa, fra terra e cielo, ai confini
della città. Bruna, la moglie, descrive i duri momenti di vita del
mondo contadino, di cui tuttavia sente la mancanza. Dietro a Franco,
il figlio, si cela la voce dello stesso Manescalchi, che rivive in sé
le memorie ataviche e cerca di salvare, nella nuova vita, il grande
respiro verde delle stagioni nel podere. La scrittura, mutuata dal
linguaggio parlato, scorre sul binario del diario colloquiale: “quello
in cui si parla col cuore”, spiega l’autore, “per essere subito capiti
e partecipati”.
Franco Manescalchi, nato a Firenze nel 1937, è tra i maggiori poeti
italiani viventi. Scrittore e giornalista, ha collaborato per un lungo
periodo alla pagina culturale nazionale de «L’Unità» e alla rivista
«Il Ponte». È direttore responsabile del periodico «Stazione di
Posta». Ha pubblicato numerose raccolte (l’ultima, "Selva domestica",
è del 2011) oltre a volumi sulle tradizioni popolari toscane. Per
Polistampa dirige le collane di poesia «Sagittaria» e «I menabò».

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