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Quando non c’era bisogno di primarie

Quando i partiti erano una cosa seria, non c’era bisogno né di primarie, né di capi carismatici che a tutto pensano e tutto fanno. Le classi dirigenti, selezionate dagli iscritti che evidentemente condividevano identità politica e programmi di governo, si assumevano le proprie responsabilità per scegliere liste e candidati senza scaricarle sugli elettori o sui sondaggisti dell’immagine.

Ciò che viene rappresentata dai mass media (che qualche responsabilità sull’attuale situazione ce l’hanno) come una straordinaria prova di partecipazione popolare lascia invece il retrogusto di una politica non solo sempre più lontana dai cittadini, ma anche sempre più lontana da controlli e verifiche. Con partiti politici così sgangherati, dopo la sbornia delle primarie o delle investiture dall’alto, chi mai verifica, confronta, discute con i vari «unti del Signore»? Forse i conduttori dei format televisivi. E la partecipazione popolare alla politica prevista dall’articolo 49 della Costituzione come si esercita: accendendo il televisore e buscandosi le chiacchiere dei format televisivi?

Il rischio per il futuro politico del sindaco di Firenze Matteo Renzi inizia da qua.

Ha indubbiamente interpretato con successo il grande e diffuso bisogno di cambiamento e di rinnovamento. Sia a Firenze che in Italia. Lo ha fatto utilizzando gli strumenti che meglio gli si addicono, come le primarie ed i mezzi di comunicazione di massa (vecchi e nuovi). Ha imbracciato le armi del nuovo e della velocità. Una specie di futurista dei nostri tempi.

Ma ci sembra di avvertire il rischio che si impantani proprio con le sue stesse armi. Se non cambia il mondo in tempi rapidi, in tempi rapidi rischia di essere superato. Se non rinnova tutto rapidamente, rapidamente rischia di deludere le aspettative a cui lui stesso ha dato fiato. Se tutto è rapido e veloce, rapidamente e velocemente bisogna indicare non solo il bisogno di correre, ma anche dove si vuole andare, con quali risorse, con quali alleati.

Il dibattito sul degrado di Firenze non può trasformarsi in un surrogato tra sostenitori e critici della persona del sindaco: sarebbe un dibattito «nuovo» che non serve assolutamente a nulla.

È possibile aprire un dibattito, ad un anno dalle elezioni comunali, sulla città pensando che nel 2014 ci saranno delle elezioni, e non un referendum?


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Francesco Butini

Istituto di studi politici "Renato Branzi"

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