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Dalla Toscana alla scoperta dei segreti millenari dell’Oman

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SALAHAH (Oman meridionale) – Parlano toscano gli scavi archeologici dell’Oman meridionale, la storica via marittima tra l’Oriente e il Mediterraneo. L’antica roccaforte di Sumhuram nel Khor Rori, estremo lembo della penisola arabica, sta ritornando alla luce grazie alle missioni degli studiosi dell’Università di Pisa, coordinati dalla professoressa Alessandra Avanzini, fiorentina e docente di filologia semitica all’ateneo pisano.

È appena arrivata dall’Italia e si incontra subito con l’architetto Valter Filatondi, che trascorre molti mesi all’anno in Oman per seguire direttamente i lavori di restauro delle parti murarie di Sumhuram, oggi divenuto un sito archeologico di primario interesse in quella che è chiamata «Via dell’incenso», dichiarata dall’Unesco tra i patrimoni dell’umanità.

Era una città piccola Sumhuram, non più di trecento abitanti, posta su una rocca che dominava uno splendido porto naturale su una laguna. Lo fondarono i naviganti arrivati dal vicino Yemen, da quei regni tra i quali, secoli prima, c’era quello leggendario della regina di Saba, citata anche nella Bibbia per aver intrapreso un lungo viaggio per incontrare il re d’Israele Salomone a Gerusalemme.

Sumhuram resse per ben otto secoli, difendendosi dagli attacchi dei pirati, dal 3° secolo a.C. al 5° secolo d.C., fino alla nascita dell’islamismo. Da sempre una delle tappe fondamentali per i mercanti che scendevano lungo la penisola arabica o arrivavano per mare lungo il Mar Rosso. Direzione Oriente e ritorno, sfruttando le code dei monsoni. A Sumhuram – come nella vicina Salalah dove anche Marco Polo molti secoli dopo faceva sosta – trovavano acqua da imbarcare sulle navi e un posto riparato dai pirati.

Presto però scoprirono che quella regione arabica (il Dhofur) era una delle poche dove si sviluppava rigoglioso l’albero dell’incenso. Non è un caso che la leggenda indichi gli stessi re Magi come provenienti dall’Oman prima di arrivare a Betlemme, con oro incenso e mirra.

«L’incenso è sempre stato legato al simbolo del potere – ricorda la professoressa Avanzini – tanto è vero che i Re Magi lo portarono a Gesù considerandolo il Re dei Giudei. Non è neppure escluso che il termine ‘oro’ non si riferisse al metallo prezioso, ma ad una altrettanto preziosa qualità bianca di incenso, che veniva donata in segno di deferenza».

È dal 1997 che l’Università di Pisa è presente in Oman, segno dell’attenzione e dell’apprezzamento che le autorità del Sultanato hanno verso l’Italia anche nel mondo culturale. A Salalah – cuore del Dhofur, l’unica zona verde e mite del sud dell’Arabia perché lambita in alcuni periodi dell’anno dalle pioggie monsoniche – è stato aperto un parco archeologico (Al Baleed Archaeological Park) che attira visitatori non solo dall’Oman ma anche dall’estero. Un museo marittimo raccoglie interessanti reperti degli scavi, curati anche da Gianluca Buonomini, uno dei collaboratori della professoressa Avanzini, che fa spesso la spola tra Pisa e l’Oman per seguire personalmente il restauro di pezzi millenari. È lui che accompagna in una visita il capitano di fregata Marco Antoniazzi, comandante della Nave Zeffiro della Marina militare italiana, in sosta a Salalah durante la missione «Atalanta» dell’Ue di contrasto alla pirateria marittima.

Poco lontano da Al Baleed è in costruzione un albergo a sette stelle affacciato sul mare, in quella che è una delle oasi più vaste della penisola arabica meridionale. Così cultura e turismo nel sultanato procedono insieme, grazie anche alla presenza italiana, in quello che è chiamato il «Rinascimento» dell’Oman. Un paese tutto da scoprire.


Sandro Addario

Giornalista

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