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Scene di panico a bordo durante il naufragio della Concordia

Concordia, parlano i naufraghi: «Dicevano di andare in cabina, ma era una trappola»

Scene di panico a bordo durante il naufragio della Concordia
Scene di panico a bordo durante il naufragio della Concordia

GROSSETO – Per la prima volta hanno testimoniato, stamani, al processo di Grosseto i naufraghi della Concordia. Nei racconti del disastro l’incubo della sera del 13 gennaio 2012 al Giglio che costò la vita a 32 persone. «Ci dicevano di tornare in cabina, ma era una trappola e corremmo verso l’esterno per scappare. Ci dicevano che era solo un guasto tecnico. Nessuno ci diceva cosa fare, c’erano solo camerieri in divisa» hanno testimoniato alcuni sopravvissuti che patiscono tuttora attacchi di panico e stati di ansia.

Dopo l’impatto con gli scogli, ha ricordato la prima teste sentita dal tribunale, una parrucchiera di Roma, Claudia Poliani, «cambiò tutto, noi passeggeri entrammo di colpo nel panico, cademmo, era buio, nessuno ci assisteva. Prendemmo i giubbotti salvagente da soli, e provammo ad indossarli». La stessa teste ha dichiarato che dopo il naufragio «per lo stress non sono più in grado di guidare tranquillamente la macchina». La passeggera Ivana Codoni ha detto «soffro di attacchi di panico. Non mi era mai successo prima del naufragio. Sono sempre sotto controllo medico. Il personale ci diceva di tornare in cabina ma capimmo che era una trappola e scappammo verso i ponti all’esterno. Eravamo come in autogestione».

«C’è chi dava in escandescenze -ha ricordato uno dei naufraghi, Luigi D’Eliso- Al ristorante tiravano pugni contro gli arredi, le mani sanguinavano. Uno chiedeva: Come faccio a salvarmi? Come faccio a salvare i miei figli?. Non lo sappiamo nemmeno noi, rispondevano i camerieri». La moglie del teste, anche lei sopravvissuta al naufragio, Rosanna Abbinante, ha ricordato che «la gente batteva i pugni sui tavoli. Il padre di un bambino urlava. Ci dicevano che c’era stato un guasto tecnico, ma capivamo che non era così. Infatti volevo andare in cabina a recuperare i vestiti ma non lo feci, la nave si inclinò e rinunciai perché pensai di fare la morte del topo».

Il timoniere indonesiano della Costa Concordia, Jacob Rusli Bin, non è venuto in Italia e non si è presentato a Grosseto dov’era atteso per testimoniare al processo sul naufragio, mentre l’ufficiale di coperta Silvia Coronica si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Rusli Bin e Coronica, co-indagati con Schettino, nel luglio 2013 hanno patteggiato condanne per omicidio colposo, lesioni colpose e naufragio colposo. Francesco Schettino anche oggi è in aula ad assistere al dibattimento accanto ai suoi difensori.


Massimiliano Mantiloni

Giornalista

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