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Senato e Titolo V, riforma storica: senatori non eletti. Le Regioni perdono potere

Maria Elena Boschi il giorno del giuramento al Quirinale
Maria Elena Boschi, ministro per le riforme costituzionali

ROMA – Il Parlamento, grazie sostanzialmente all’accordo del Nazzareno fra Renzi e Berlusconi, ha sancito un’autentica rivoluzione per l’attuale assetto costituzionale, a partire dal superamento del bicameralismo perfetto e dalla fine dell’elettività di primo grado dei senatori. Le opposizioni (Lega, Cionque Stelle, Sel) non hanno partecipato al voto. Il ddl riforme approvato a Palazzo Madama ha cambiato completamente formazione e funzioni dell’attuale Camera Alta e ha modificato radicalmente il Titolo V, eliminando, per esempio, la legislazione concorrente. Nei 40 articoli del testo Boschi sono presenti anche diverse norme che vanno nella “linea” della lotta agli sprechi della politica, dalla fine delle indennità per i senatori fino al tetto per gli stipendi per i consiglieri regionali. Ora manca una norma che faccia risparmiare sul numero e sugli emolumenti dei dipendenti.

SENATO DEI 100. La fine del Senato elettivo è certamente la novità più rilevante. Il futuro Senato sarà composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e cinque di nomina presidenziale. Saranno i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre ciascuna Regione eleggerà un senatore tra i sindaci dei rispettivi territori. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà «in proporzione alla loro popolazione» ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori, che godranno dell’immunità come i colleghi deputati – coincide con quella che si ha nei “propri” organi territoriali.

Silvio Berlusconi attacca il Pd e Matteo Renzi
Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, protagonisti dell’intesa del Nazzareno che ha portato alla riforma del Senato

LE FUNZIONI. Viene finalmente superata la funzione legislativa esercitata collettivamente dalle due camere, il bicameralismo perfetto previsto dall’art. 70 della Costituzione. La competenza legislativa “normale” sarà quindi appannaggio della sola Camera dei deputati salvo alcune materie (come quelle etiche, introdotte con un emendamento approvato, con voto segreto, contro il parere del Governo). Sulla legge di bilancio, ad esempio la Camera potrà avere l’ultima parola decidendo, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal futuro Senato. Che, tra l’altro, non avrà più il potere di concedere amnistia e indulto.
REFERENDUM. Punto tra i più controversi del testo: le firme necessarie per i referendum restano 500mila con il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. In caso si arrivi a 800mila firme il quorum, invece, si abbassa alla maggioranza dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Sono introdotti, infine, i referendum propositivi e d’indirizzo.
IL NUOVO TITOLO V. La scomparsa delle Province dalla Costituzione e l’eliminazione della legislazione concorrente tra Stato e Regioni costituiscono il fulcro di questa parte del ddl, che, in generale, dà più competenze allo Stato centrale permettendo anche il commissariamento di Regioni ed enti locali in caso di grave dissesto finanziario ma prevedendo la delega di ulteriori competenze alla alle Regioni a Statuto ordinario “virtuose” in quanto a bilancio. Lo Stato, inoltre potrà esercitare una «clausola di supremazia» verso le Regioni a tutela dell’unità della Repubblica e dell’interesse nazionale.
LE ALTRE NORME. Saranno applicabili subito dopo l’entrata in vigore del ddl alcune norme chiave come la soppressione del Cnel, la previsione di un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali – mai superiori a quello dei sindaci dei capoluogo di Regione – e la `norma anti-Batman´ che, sulla scia dei recenti scandali, blocca «rimborsi e trasferimenti monetari» pubblici ai gruppi politici regionali.

Si tratta, è vero, di una riforma storica, frutto dell’accordo fra le due maggiori forze politiche, che però avrebbe potuto avere un più approfondito esame in aula. Molto positivi mi sembrano il superamento del bicameralismo e la razionalizzazione delle materie di competenza di Stato e regioni, previsti dal nuovo titolo V. Non condivido la scelta di affidare le responsabilità del Senato ad una parte della classe politica, sindaci e consiglieri regionali, non eletti direttamente ma scelti all’interno della loro “classe”. Si tratta di categorie che non hanno talvolta dato buona prova di governo locale, nei confronti dei quali (consiglieri regionali) la stessa riforma addirittura adotta, in tema di finanziamenti ai gruppi politici, alcuni strumenti correttivi in conseguenza delle illegalità accertate di recente dalla magistratura. E non sarà certo la riforma del Senato a rilanciare l’economia.


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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