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Camera e Senato: i dipendenti si ribellano al taglio degli (alti) stipendi

Palazzo Montecitorio
Palazzo Montecitorio

ROMA – La spending review che i Presidenti Pietro Grasso e Laura Boldrini vorrebbero applicare anche alle Camere incontra, al primo impatto, la strenua resistenza dei dipendenti. Sono previsti tagli per tutti, dagli assistenti parlamentari al segretario generale. Il primo confronto fra le due vice presidenti con delega al personale, entrambe del Pd, Valeria Fedeli e Marina Sereni, e i sindacati ha dato esiti sconsolanti.

ACCORDO – Le due vice hanno consegnato un testo di cinque pagine, contenente l’accordo conclusivo sulla ‘Ridefinizione delle retribuzioni dei dipendenti’. Tagli da 60 milioni per i 1600 della Camera e da 36 milioni per i 799 del Senato, da realizzare entro il 2018. La Cgil di Palazzo Madama non si è neppure presentata all’incontro. I sindacalisti presenti hanno immediatamente giudicato il piano irricevibile.
Ma cosa prevede questo piano?

TETTO – Per la qualifica più alta, quella dei consiglieri, è previsto lo stesso tetto stipendiale deciso per i dirigenti della altre pubbliche amministrazioni: 240 mila euro al netto degli oneri contributivi. Per gli stenografi si passa a 170 mila euro, i documentaristi 160 mila, i segretari e i coadiutori 115 mila, i collaboratori tecnici 106 mila e infine gli assistenti parlamentari, cioè i commessi, che avranno un tetto pari a 99 mila euro.  Ci saranno tre scaglioni per i tagli, a seconda di chi supera il tetto del 25 per cento, di chi lo supera tra il 25 e il 40 e di chi va oltre il 40.

STIPENDI – Attualmente il 40 per cento dei dipendenti sfonda i tetti individuati per ciascun livello. La vittima più illustre naturalmente  sarà il segretario generale, carica apicale, che alla Camera passerà da una retribuzione che oggi si aggira attorno ai 406 mila euro l’anno ai 240 mila; al gradino più basso, un assistente (commesso) col massimo di anzianità vicino ai 136 mila euro, si fermerà a 99 mila. Da notare che i commessi, anche con la riduzione, avranno un trattamento superiore a quello di un professore universitario di ruolo, in pensione dopo 45 anni d’insegnamento. E il Presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, così attento a intervenire su questo tema, stavolta non ha nulla da dire?

Ricevuta la risposta dai sindacati, che dovrebbe pervenire entro il 20 settembre, e che è scontato sarà negativa, gli uffici di presidenza adotteranno comunque il piano. «Ci muoviamo in analogia con la normativa che il Parlamento ha approvato in materia di pubblici dipendenti – spiegano in una nota scritta Sereni e Fedeli ». Ma non sarà facile arrivare alla conclusione.


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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