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Il voto in Emilia e Calabria: una rivolta contro le Regioni. La Francia le ha dimezzate

Il risultato delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria ha dimostrato, una volta di più, la disaffezione e la critica che gli elettori rivolgono nei confronti della politica e, in questo caso particolare, contro l’istituzione regionale. Anche in Emilia Romagna, regione tradizionalmente dominata dal Pd, i votanti si sono ridotti al 37,7%, il che vuol dire che più di sei cittadini su dieci non si sono recati alle urne anche perché disgustati dagli scandali e dall’inefficienza dimostrate dagli organismi regionali in questi 40 anni. Lievemente meglio in Calabria, ma anche qui l’astensione ha stravinto.

REGIONI – Si, perché le Regioni finora sono state soprattutto macchine mangiasoldi: non hanno adempiuto ai compiti istituzionali loro assegnati. Non hanno tutelato l’ambiente, il cui disastro è sotto gli occhi di tutti, hanno gestito in modo clientelare la sanità, con aumenti vertiginosi di spesa e scandali a ripetizione – e anche la Toscana (è storia di oggi) non ne è stata immune- hanno contribuito in modo decisivo all’aumento della spesa pubblica con le ingenti dilapidazioni per poltrone di governo e sottogoverno e di enti nei quali inserire gli amici degli amici. Ma gli elettori stanno dicendo basta a questa situazione. Pensiamo, ad esempio, in Toscana alle rivolte della popolazione carrarina e della Maremma contro i disastri e lo scempio del territorio per incuria e incompetenza degli organi locali e regionali. Così come agli scandali nella sanità. Il Presidente Rossi si infuria e si erge a censore, ma quale sorveglianza ha attuato negli ultimi quindici anni prima da Assessore alla sanità e poi da Presidente? L’inadeguatezza della macchina regionale era apparsa del resto già evidente nel 1992, quando – dopo lo scandalo della diga di Bilancino – la Regione Toscana istituì il Commissario per l’Invaso di Bilancino con il compito di riprendere i lavori e completare tutte le opere ancora necessarie. Non ritenendo evidentemente adeguato nessuno dei suoi uffici interni, la Regione nominò a tal fine il prefetto Alvaro Gomez y Paloma, che portò a conclusione l’opera senza inefficienze e scandali.

RIDUZIONE – Mi rivolgo perciò al premier Matteo Renzi, che gongola del magro successo ottenuto con un numero sparuto di votanti. Pensi a realizzare riforme serie e che producano veri risparmi, come quella che dovrebbe interessare l’eliminazione di buona parte degli organismi regionali. Se si vuole finalmente rimettere in sesto l’amministrazione locale, occorre incidere pesantemente su finanziamenti, competenze e amministrazione delle regioni a statuto ordinario e speciale, così come è stato fatto in altri Paesi, ove le regioni fra l’altro non hanno poteri così ampi e non gestiscono bilanci pletorici.

FRANCIA – La Francia in sei mesi sta facendo quello che noi cerchiamo di realizzare da decenni, una vera e propria riforma delle istituzioni tesa a semplificare la vita politica e amministrativa, a ridurre le spese e a diminuire le poltrone di politici di professione, la vera palla al piede dell’Italia. L’Assemblea nazionale di Francia infatti sta per votare, in seconda lettura, la nuova mappa delle Regioni, ridotte da 22 a 13 nel quadro del progetto di riforma territoriale francese. La Camera bassa del parlamento non ha apportato alcun cambiamento al testo approvato dal Senato, con grande disappunto di un gran numero di deputati che volevano mantenere l’autonomia delle proprie regioni. Ma si vede che in Francia, a differenza che in Italia, le lobbies talvolta non prevalgono a scapito dell’interesse generale.

La nuova carta delle regioni francesi
La nuova carta delle regioni francesi pubblicata su “Le Monde”

RIFORMA – La Francia dunque intende dimezzare le regioni, ritenendo che il peso della burocrazia e della politica sia insopportabile in un momento nel quale ai cittadini sono imposti sacrifici. I nostri cugini d’oltralpe ci hanno dato un bell’esempio di come si programmano e si attuano le riforme in poco tempo. La loro costituzione lo consente mentre la nostra – definita ormai solo da Napolitano, Zagrebelsky e Benigni la più bella del mondo – fornisce alibi e strumenti concreti a coloro che difendono lo statu quo e sono contrari al cambiamento.

ITALIA – Da noi sono state fatte tante chiacchiere, sono state in teoria abolite, ma in realtà trasformate, le province che in questo 2014 sono costate 15 milioni di euro in più rispetto al 2013. Non si parla di accorpare i comuni, anzi sono stati aumentati di 25.000 unità i consiglieri comunali. Nessuno poi propone di abolire o depotenziare e ridurre il numero delle regioni. Se la Francia con un territorio molto più vasto del nostro, con lo stesso numero di abitanti, e con un’economia che è in uno stato migliore della nostra (il Pil è a +0,4, mentre il nostro è a -0,1) riesce nell’impresa di dimezzare le Regioni, il rottamatore dovrebbe dar prova della sua abilità innovatrice e riformatrice, finora vantata solo a parole, per fare altrettanto anche nel nostro Paese. Con benefici sostanziali per la spesa pubblica. Ma si tratterebbe di abolire redditizi posti di governo e di sottogoverno locale e anche Renzi, sotto questo aspetto, ha seguito e segue l’andazzo abituale. E comunque un’iniziativa di questo genere andrebbe sicuramente a sbattere contro un muro compatto di politici schierati a difesa delle loro poltrone e dei loro privilegi. Sarò annoverato fra quelli che il premier chiama gufi, ma purtroppo non vedo alternative efficaci. Se tale situazione non muterà radicalmente infatti temo che i cittadini rinunceranno sempre più a un voto che ritengono inutile, ma spero che non scelgano di manifestare direttamente nelle piazze la loro volontà di cambiamento.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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