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Jobs Act. la Camera approva. Trenta deputati della minoranza dem escono dall’aula e Civati vota no

Matteo Renzi
Matteo Renzi

Sì dell’Aula della Camera al Jobs act: il testo, approvato a Montecitorio con 316 sì, 6 no e 5 astenuti, torna al Senato. Ma il Pd si spacca. Una trentina di deputati hanno abbandonato l’aula mentre Civati e i suoi hanno votato no. Anche tutte le opposizioni hanno lasciato l’aula della Camera in segno di protesta al momento del voto. A favore hanno votato la maggioranza dei Pd, Ncd, Per l’Italia e Scelta civica.

CUPERLO – Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole sul Jobs act», aveva detto Gianni Cuperlo, a margine di un incontro con Sel e la Fiom lombarda. «Il punto a cui si è arrivati – sottolineava – non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare ma come assumere».

FASSINA – «Per noi – aveva aggiunto Stefano Fassina, uscito dall’Aula insieme ai 30 deputati- è uno strappo rilevante, perché noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari». Fassina ha riconosciuto che il lavoro in Commissione alla Camera ha migliorato il testo «ma – ha sottolineato – restano valutazioni negative sui punti decisivi».

VOTO – Il governo punta al via libera finale entro il 9 dicembre per poi varare i decreti delegati entro fine anno in modo da rendere operativa la riforma all’inizio del 2015. La principale novità introdotta alla Camera è la modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla falsariga dell’ordine del giorno votato a settembre dalla Direzione del Pd.

LICENZIAMENTI – Matteo Renzi avrebbe voluto disciplinare la materia direttamente nei decreti delegati, ma una fetta di partito ha insistito per anticipare subito alcuni paletti entro i quali si dovrà sviluppare l’azione del governo. Il parere del Parlamento sui decreti legislativi, infatti, non è vincolante. Nonostante la mediazione, una minoranza del Pd non ha comunque votato il testo ritenendo che la riforma svuoti le tutele in caso di licenziamenti ingiusti.

REINTEGRO – La delega prevede che per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti sarà possibile, in caso di licenziamenti senza giusta causa, chiedere il reintegro solo per discriminazione. Qualora il licenziamento fosse per motivi disciplinari il reintegro sarà ammesso solo in alcune fattispecie, da specificare in sede di decreti delegati. Il lavoratore avrà invece diritto a un indennizzo in denaro, ma non al reintegro, se il licenziamento avverrà per ragioni economiche.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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