Firenze: Irene Focardi massacrata per gelosia dal suo ex compagno. La storia ricostruita dagli investigatori
FIRENZE – Un destino terrificante quello di Irene Focardi. Morta massacrata di botte, probabilmente dal suo ex convivente, a soli 43 anni, dopo aver subito violenze da lui altre volte. E abbandonata in un sacco di plastica, dietro la vegetazione ai bordi di un fosso lungo la ferrovia in una zona periferica della città.
PICCHIATA A SANGUE – A tre giorni dal ritrovamento, domenica 29 marzo nel quartiere delle Piagge, di un cadavere in avanzato stato di decomposizione, poi identificato con l’ex modella fiorentina, gli investigatori infatti lavorano su questa ipotesi: l’ex compagno di Irene, Davide Di Martino – portato in carcere alle 3 del mattino di oggi 1 aprile dopo che già era ai domiciliari per aver in passato commesso violenze sulla sua donna -, avrebbe picchiato a sangue Irene, fino a ucciderla, forse perché lei aveva osato confessargli di aver incontrato un suo ex, mentre andava a casa da lui. La donna ha avuto il cranio sfondato e altre fratture causatele con un imprecisato oggetto contundente, più alcuni tagli sulla schiena inferti da un piccolo coltello che gli investigatori stanno cercando.
RESO FOLLE DALLA GELOSIA – Secondo gli investigatori la gelosia sarebbe alla base di tutte le aggressioni subite dalla donna da parte dell’ex compagno, sia di quelle per le quali l’uomo stava scontando gli arresti domiciliari, sia di quelle successive alla condanna: ben 3 in due mesi.
TRINCERATO NEL SILENZIO – Di Martino era infatti ai domiciliari poiché doveva scontare una condanna a 3 anni e 9 mesi, confermata alcuni giorni fa in appello. Ora è accusato di omicidio, occultamento di cadavere e maltrattamenti aggravati dalla morte. Ma non ha confessato. «Non vi dico niente, non parlo più anche se mi interrogate», avrebbe detto agli investigatori della squadra mobile durante la perquisizione di martedì. «Di Martino non ha parlato, non ha detto nulla, si è chiuso nel silenzio, aspettiamo la convalida del fermo e l’interrogatorio», ha confermato in una conferenza stampa, oggi 1 aprile, il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo.
LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI – A quanto finora è stato ricostruito, la sera della sua scomparsa, il 3 febbraio scorso, Irene Focardi ricevette un messaggio da Di Martino sul cellulare della madre in cui l’uomo le chiedeva di raggiungerla. La donna poteva recarsi a casa sua poiché, malgrado lui fosse ai domiciliari, il tribunale di Firenze non gli aveva vietato di ricevere visite in casa. Dunque Irene sarebbe uscita dirigendosi verso l’abitazione del compagno. Ma lungo la strada avrebbe scambiato alcune parole con un conoscente col quale in passato aveva avuto una relazione. Poche ore dopo, a casa del compagno, la lite che secondo l’ipotesi dell’accusa sarebbe scaturita dall’aver raccontato di questo incontro, e che è poi degenerata nell’uccisione della donna, picchiata brutalmente, colpita con un oggetto contundente imprecisato e ferita alla schiena con un coltello.
LA SIM TELEFONICA – La sera della scomparsa di Irene il cellulare di Di Martino cessò di funzionare. Lui disse alla polizia di averlo distrutto perché innervosito dal fatto che la donna non era andata a trovarlo. Ma secondo quanto accertato dagli agenti della squadra mobile la scheda telefonica fu trasferita su un altro cellulare di proprietà di Di Martino sebbene da tempo in uso a Irene Focardi.
IL TESTIMONE – A corroborare quelli che appaiono come gravi indizi a carico di Davide Di Martino, la testimonianza di una persona che, dopo il ritrovamento del cadavere di Irene, si è recata in Questura. Per dire di aver visto Di Martino trascinare un sacco nero di plastica fuori dalla sua abitazione proprio in direzione del fosso scolmatore dove è stato trovato il cadavere della donna. In base al racconto, per un tratto Di Martino fu aiutato da una persona incontrata in strada.
IL CADAVERE IN CANTINA – Sempre stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, dopo aver ucciso Irene, il suo ex compagno avrebbe nascosto il cadavere in cantina per alcuni giorni, decidendo in un secondo momento di gettarlo nel fosso. Il testimone che si è recato in Questura ha riferito infatti di averlo incontrato nel seminterrato del palazzo dove si trovano le cantine. In base al racconto Di Martino era in stato confusionale, dovuto forse l’assunzione di alcol o farmaci, e accanto a sé aveva un grosso sacco nero da cui emanava un fetore pungente.
IL PRESUNTO COMPLICE – A quel punto l’uomo, spaventato, uscì dalle cantine e tornò in casa della madre. Da qui si affacciò alla finestra e vide Di Martino uscire dalla porta posteriore dello stabile trascinando a fatica il sacco sul prato davanti al condominio, fino a via Lazio, a pochi metri dal fosso dove è stato trovato il cadavere. Sempre secondo il racconto, Di Martino prima di scomparire dalla visuale del testimone fu aiutato da un’altra persona ad attraversare col sacco la strada in direzione del fosso.
I CALZINI NEL SACCO – Nel sacco di plastica nero in cui è stato ritrovato il cadavere di Irene gli investigatori hanno rinvenuto dei calzini dello stesso modello e della stessa taglia di quelli usati dal Di Martino. Secondo gli inquirenti per disfarsi del cadavere Di Martino ha usato un sacco di quelli che utilizza abitualmente per riporre la biancheria sporca dimenticandovi, all’interno, i calzini. E ieri 31 marzo nella perquisizione a casa dell’uomo la polizia ha sequestrato dei calzini identici per modello, taglia e tessuto. Gli agenti li hanno trovati in un sacco identico a quello che è stato usato per occultare il cadavere. Tra gli altri oggetti sequestrati, ci sono però un copri materasso che non era stato trovato nelle precedenti perquisizioni, e una maglietta bianca con tracce ematiche latenti. Di Martino avrebbe fatto altri errori: come aver detto alla vicina di casa di aver tentato di rianimare Irene, aggiungendo che «non c’era più».
LEI SI FIDAVA– Al momento del ritrovamento del suo corpo, Irene aveva addosso due golf neri, un gilet nero e un paio di jeans: gli stessi vestiti che indossava al momento della scomparsa, il 3 febbraio scorso, fatta eccezione per la mancanza delle scarpe e di un piumino grigio, che non sono stati trovati. Come se, quando è stata uccisa, si trovasse in un luogo chiuso, probabilmente l’abitazione del compagno e, fidandosi, si fosse tolta alcuni indumenti.