
Politica: ora Renzi va all’attacco e prepara il rinnovamento del Pd. Avviso di sfratto alla minoranza Dem?

ROMA – Il dopo-elezioni è stato caratterizzato da un anomalo, prolungato silenzio del premier Matteo Renzi. Che ha affidato i commenti politici ai suoi fedelissimi, Matteo Orfini e Lorenzo Guerini, è volato in Afghanistan e soltanto al ritorno ha affidato il suo pensiero non a un tweet o a delle sildes o a una chiacchierata con i giornalisti, ma a un normale comunicato stampa emesso da Palazzo Chigi.
COMUNICATO – «Il risultato del voto è molto positivo, oggi sono cinque le regioni guidate dal Pd e dal centrosinistra. Si è passati in un anno dal 6 a 6 ad un sonoro 10 a 2 sul centrodestra. Dopo il voto andiamo avanti, con ancora maggiore determinazione nel processo di rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese». All’interno di queste frasi, apparentemente normali, di compiacimento per il risultato conseguito, si nasconde l’intenzione di effettuare nel prossimo futuro alcune importanti scelte politiche.
RINNOVAMENTO – L’accenno al «rinnovamento del partito» fa trasparire un’evidente e accresciuta insofferenza verso la minoranza dem. Sottovalutando la situazione il premier forse ritiene che sul risultato elettorale non abbiano pesato le politiche del governo, ma la disorganizzazione del partito, la scarsa sagacia nella selezione dei candidati. Dunque il Pd è un partito finalmente da riorganizzare. Nell’indirizzo del partito della nazione? Renzi per ora non l’ha detto, ma sicuramente ne parlerà lunedì alla Direzione del Pd.
DIREZIONE PD – Nella quale, come minimo, farà un discorso chiaro alla minoranza: se si sta dentro un partito, se ne rispettano le regole fondamentali, se no se ne esce. Come ha fatto ad esempio Sergio Cofferati che è stato uno degli autori della rivolta dem in Liguria che, con la presentazione di un candidato autonomo, ha pesato sulla sconfitta della renziana Raffaella Paita.
RISULTATI – Ma c’è una considerazione più ampia da fare. Al premier non sarà certo sfuggito, nonostante le professioni di ottimismo, che nelle Regioni nelle quali si è votato il Pd ha perso due milioni di elettori rispetto alle Europee di un anno fa e un milione di voti anche rispetto al Pd bersaniano delle Politiche 2013. All’interno di questo sostanziale arretramento è netta la sconfitta in Veneto: il Pd (anche sommandovi le liste civiche) nel giro di 12 mesi ha perso in questa regione 485.000 voti e 15 punti percentuali. Dall’esame generale dei risultati, nonostante le dichiarazioni ufficiali, Renzi sarà sicuramente preoccupato per la concomitante presenza di fattori negativi. Nonostante la conferma di De Luca in Campania e nonostante il 5-2, la prevalenza del Pd è minata dalla lotta fratricida in Liguria, dalla disfatta nel Veneto e dal risultato rossa Umbria, in bilico per tutta la notte.
RIMEDI – Per questo giustamente il premier pensa di correre ai ripari. Se si limiterà a operare una rivoluzione nel partito avrà compiuto soltanto una parte dell’opera. Occorre porre mano anche al Governo, sia nella sua composizione, debole in alcuni esponenti, sia soprattutto a programmare meglio la sua azione futura, che dovrà prestare più attenzione alle esigenze di alcune categorie di cittadini (pensionati e dipendenti pubblici) finora bistrattati dal rottamatore, affrontare con maggior vigore temi come il rilancio dell’economia, la riduzione degli sprechi della politica, il taglio alle regioni che sono una fonte di sprechi insopportabile e insostenibile, la riduzione del peso fiscale con il potenziamento della lotta all’evasione. Solo così Renzi dimostrerà di aver imparato la lezione e di non essere il bambino viziato col gelato in mano, l’immagine che in passato la stampa, anche internazionale, ha utilizzato per dipingere gli atteggiamenti del premier.
