Toscana: quando la miopia di Occhetto e i localismi del Pci frenarono lo sviluppo
Perché Firenze non ha oggi un aeroporto degno di questo nome e deve continuare a gingillarsi con la pista di Peretola? Perché Livorno ha voluto a tutti i costi ubicare un interporto in un’area acquitrinosa e assurdamente lontana dal porto? Perché, accanto all’Autostrada del Sole e all’Adriatica non corre ancora l’autostrada Tirrenica? E soprattutto perché ci ritroviamo oggi con una città metropolitana che scavalca l’appennino fino all’Alto Mugello e volta la faccia a Prato e Pistoia? A queste domande risponde il libro Manlio Summer architetto,che presenteremo sabato 6 giugno, alle 15,30, nel chiostro della Collegiata di Casole d’Elsa, Piero Pii, a Marilena Avvisati ed io.
Il libro racconta la storia di un uomo e di come in Toscana il localismo e i suoi interessi di retroguardia impedirono la realizzazione di un progetto riformista, che fu strozzato sul nascere. La storia, che si concentra sugli ultimi colpi di coda della Prima Repubblica, ci riguarda ancora oggi, come ci ricordano quelle domande restate senza risposta.
Nasce da queste considerazioni l’idea di provare a ripercorrere gli errori del passato, nell’illusione di poter scongiurare almeno quelli del futuro. E’ così che un gruppo di amici hanno cercato di ricostruire la storia di uno dei protagonisti di quegli anni Ottanta del secolo scorso, quando si pensava di riuscire a cambiare la Toscana. Ma quasi nessuno, nella sinistra di allora, voleva davvero le riforme e la maggioranza del Pci non faceva eccezione.
Eppure uno spiraglio si era aperto, grazie all’approdo alla presidenza della Regione di Gianfranco Bartolini, uomo di fabbrica e di sindacato che non si definiva riformista, ma operava come vero “riformista del fare.” Quella esperienza di governo non è l’opera solitaria del nuovo presidente: ne sono artefici un gruppo di collaboratori destinati a diventare protagonisti di una stagione sicuramente riformista, anche se nessuno di loro si sognava di esserlo. Ma tutti seguivano con entusiasmo la strada imboccata dal presidente, al quale erano legati da un vincolo di rispetto e di condivisione, che talvolta arrivava a sconfinare nell’amicizia.
Tra questi spiccava il protagonista del nostro racconto: un giovane “architetto pianificatore” di nome Manlio Summer, che condivideva col suo presidente – ma anche con Edoardo Detti e Giovanni Astengo – un’idea guida: il territorio regionale doveva rappresentare una risorsa per lo sviluppo e non uno spazio da edificare, un vuoto da riempire a tutti i costi e perciò portatore dell’insidia quotidiana di quel “deterioramento strisciante” che già si stava mangiando la Toscana, contro il quale metteva in guardia Giacomo Becattini.
Convinto di ciò e consapevole della stretta sintonia col presidente, Manlio non esita a dichiarare guerra al localismo miope che imperava nelle amministrazioni locali, guidate in massima parte dallo stesso Pci che governava la Regione: in quelle sedi venivano elaborate e messe in atto politiche del territorio anguste e disorganiche, che non tenevano in nessun conto, ma anzi contrastavano l’esigenza regionale di programmare attraverso la costituzione di “aree vaste.”
Il sogno riformatore finirà così per affondare nel pantano del consociativismo tra lottizzazioni di incarichi e alchimie di equilibri, finché, nel 1989, Achille Occhetto alzerà il telefono per sancire il niet definitivo al progetto Fiat-Fondiaria, al quale la Regione lavorava da anni, che avrebbe dovuto orientare l’espansione di Firenze verso il suo sbocco naturale, che guardava a Prato e a Pistoia. Gli amministratori locali non si opposero, le istituzioni furono umiliate. Un anno dopo Bartolini lascerà la Regione senza che gli venga offerto alcun incarico politico e l’anno successivo sarà Manlio ad andarsene sbattendo la porta: caso rarissimo di un dirigente che rinuncia non solo all’incarico, ma anche alla poltrona, a causa dell’incompatibilità con il proprio assessore.