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Mafia Capitale: Renzi, garantista a corrente alternata. Le opposizioni insorgono

Renzi alla direzione Pd
Renzi alla direzione Pd

Alla vigilia della Direzione Pd, quella della resa dei conti, Renzi manda un avvertimento preciso alla sua minoranza, parlando dal luogo della più clamorosa sconfitta: la Liguria. Cominciando, come suo solito, a rimescolare le carte. Afferma infatti che in nessun altro paese «la sinistra ha il successo che ha il Pd in Italia», mentre sul calo rilevante e inoppugnabile di voti del suo partito osserva: «Non uniamo le mele con le pere. A quali elezioni facciamo riferimento: alle amministrative o alle europee? Guardate a Livorno dove un anno fa, nello stesso giorno, il Pd ha preso il 53 per cento alle europee e il 35 alle amministrative».

MINORANZA DEM – Quindi ha messo sull’avviso la minoranza dem che ha osato contrapporsi a lui: «Sicuramente il Pd deve fare una riflessione e ben venga, visto che fino a pochi giorni fa si parlava del fatto che stavamo mettendo in atto una dittatura. Ma cosa c’è fuori dal Pd? La Coalizione sociale, il Podemos italiano, Pastorino? Fuori dal Pd c’è Salvini ed il centrodestra. Per essere argine all’antipolitica dobbiamo darci una smossa, ma essere consapevoli della situazione». E aggiunge: «Se stai dentro una comunità rispetti le regole se no stai in un partito anarchico», ha aggiunto, prendendosela con «la sinistra che si crede più sinistra dell’altra e che faceva vincere la destra». Infine: «Basta spaccare tutto. Se fai così, è finita la storia del Pd».

AUTOCRITICA – Infine, forse per la prima volta, ammette che qualche volta sbaglia anche lui: «Penso di non aver sbagliato sulla legge elettorale, mentre sulla scuola sì. Non è possibile: assumiamo 100 mila persone, mettiamo un miliardo in più e li abbiamo fatti arrabbiare. Io non cerco alibi cerco soluzioni. Se è così è colpa mia. Ho fatto un capolavoro a far arrabbiare tutti, ma sia chiaro che io non faccio tutto bene, ma ora le cose in Italia si fanno».

INDAGATI – Infine un giudizio sulla sua posizione in merito ai compagni di governo indagati e al caso De Luca. «Ho 5 sottosegretari indagati, io credo che un cittadino è innocente fino a prova contraria. Non chiederò mai le dimissioni per un avviso di garanzia». Ma molti lo criticano, sostendendo, probabilmente a ragione, che il premier ha preso una posizione di comodo – per motivi di opportunità politica – diversa da quelle adottate nel passato, ad esempio per i casi dei ministri Cancellieri, De Girolamo e Lupi, nei quali si dichiarò favorevole alle dimissioni, anche se alcuni di questi non erano neppure indagati. Le opposizioni affermano infatti che, nel caso del sottosegretario Castiglione, indagato per mafia capitale, politico vicino ad Alfano, il premier si è scoperto garantista perché a Palazzo Madama il governo può contare su una maggioranza risicata, tra i sette e i nove parlamentari. Area Popolare (Udc-Ncd), il partito del ministro dell’interno, ha una trentina di senatori ed è quindi un fattore centrale per la tenuta della maggioranza che regge l’esecutivo, nella prospettiva delle votazioni delle prossime importanti riforme in programma.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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