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Senato, riforma fatta: il DDL ‘Boschi’ approvato con 178 si, 17 no e 7 astenuti. Opposizioni fuori dall’aula

Senato
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ROMA – Il ddl Boschi è stato approvato al Senato: 178 voti favorevoli, 17 contrari e 7 astenuti. Le opposizioni (Lega, M5s e Forza italia) hanno lasciato l’aula, mentre Sel è rimasta nell’emiciclo senza votare. I fittiani hanno votato contro. Ora il testo dovrà tornare alla Camera. In caso di via libera senza modifiche si concluderà la prima lettura. Poi dovrà essere nuovamente approvata dal Senato e infine ancora dalla Camera. A quel punto, come annunciato, ci sarà il referendum. Renzi era scaramantico prima dell’approvazione – «Come dice Trapattoni “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco…”» – ma su Facebook aveva scritto: «La lunga stagione della politica inconcludente è terminata. Le riforme si fanno, l’Italia cambia».

RISPARMI – Posto che tutto vada liscio, come è andato finora, resta però nell’ombra una questione importante, sulla quale governo e maggioranza hanno glissato. Bene la scomparsa della duplicità di funzioni fra Camera e senato, ma la riforma quanto ci frutta in termini di risparmi economici? Non è facile dirlo. Ma proviamo a fare due calcoli: nel 2014 le spese del Senato ammontavano a 501 milioni di euro. Di questi, circa 98 milioni vanno ai senatori (41 milioni per le indennità, 36 milioni per i rimborsi spese e 21 milioni per i contributi ai gruppi parlamentari). Altri 9 milioni vanno al personale addetto alle segreterie particolari. Questi costi (107 milioni) saranno praticamente azzerati. Ci sono poi le spese di funzionamento, che oggi pesano per 44 milioni: qualcosina si risparmierà anche da qui, ma certamente non tutto. Restano ancora circa 350-360 milioni intangibili, perché alcuni costi non potranno essere azzerati. Almeno non nell’immediato. Parliamo per esempio delle pensioni degli ex senatori (80 milioni), del costo del personale (151 milioni) e delle pensioni degli ex dipendenti (120 milioni).

MODIFICHE – Ma altre modifiche sono apportate alla Costituzione. Cambia il Titolo V, dopo la sciagurata riforma approvata dalla sinistra nel 2001, che ha causato tanti disastri. Sono state definite in modo più netto le materie di competenza legislativa dello Stato da quelle delle Regioni. È stato rivisto il quorum per i referendum (si abbassa se aumenta il numero di firme presentate) e sale il numero di firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare (da 50 mila a 150 mila). Vengono inoltre aboliti definitivamente il Cnel e le Province. Cambia anche il sistema di elezione el Presidente della repubblica. I deputati e i senatori, si riuniranno, come avviene adesso, in seduta comune, ma cambierà il quorum. Per i primi tre scrutini servono i due terzi dei componenti; dal quarto si scende ai tre quinti degli aventi diritto; dal settimo basterà la maggioranza dei tre quinti dei votanti.

Dunque un’altra delle riforme voluta dal governo sta andando avanti; sicuramente ci saranno effetti positivi per l’abolizione del bicameralismo perfetto. Da una simulazione fatta da esperti costituzionalisti risulta anche che, sulla base della situazione attuale nelle regioni e nei comuni capoluogo (quelli che contribuiscono a fornire i componenti del nuovo senato), la nuova ‘camera delle autonomie’ sarebbe adesso saldamente in mano al Pd con 65 membri. Fatto che certamente non sarà sfuggito all’analisi di Renzi e dei suoi al momento di varare il progetto adesso approvato.

 


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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