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Università: Italia maglia nera in Europa, i borsisti sono scesi del 9%. Ridotti i finanziamenti

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Una buona parte dell’opinione pubblica, non solo italiana, ma anche europea e mondiale, non valuta a sufficienza l’importanza che l’istruzione e la cultura possono avere per lo sviluppo economico e sociale di un Paese. La frase abusata è sempre la solita: «con la cultura non si mangia». Negli ultimi anni peraltro tutti i premi Nobel per l’economia hanno insistito su un concetto: per uscire dalla crisi senza le ossa rotte bisogna investire anche in istruzione. Bene, è esattamente quello che l’Italia non ha fatto anche negli ultimi dieci anni. Il premier Matteo Renzi ad ogni occasione esalta il bello e la cultura, dichiara che il Governo impegnerà fondi ingenti per la cultura, ha varato provvedimenti per la scuola, ma ha dimenticato (per ora) l’Università.

UNIVERSITÀ – La crisi investe soprattutto il mondo accademico. Nel Sud Italia si laurea meno del 20% dei giovani, numeri che in Puglia e Sicilia si fermano al 14%, esattamente quanto l’Indonesia e il Sudafrica. Per capire la malattia che ha svuotato le aule universitarie in tutto il Paese si può partire da tante angolazioni: la crisi, il lavoro che langue, lo scarso appeal delle lauree tradizionali o l’affermarsi di corsi alternativi più professionalizzanti. Tutto vale. Ma quello che forse ha pesato di più è il decennale disimpegno dello Stato.

FINANZIAMENTI – Dal 2008, anno di inizio della crisi economica globale, il nostro Paese ha ridotto del 22,5% il finanziamento pubblico alle università, che otto anni fa era di oltre 6 miliardi. In Germania è cresciuto del 23%. Contemporaneamente, in Italia, sono crollate le immatricolazioni: dal 2004 si sono perse 66 mila matricole, circa il 20% in meno, di fronte al quale quel +1,6% registrato dal rapporto Anvur quest’anno è ben poca cosa. Un diplomato su due non continua gli studi. E non è soltanto colpa della demografia, perché al netto della scarsa natalità, la quota di matricole 19enni è passata dal 57% al 46%.

Dall’inizio della crisi molti Paesi europei hanno potenziato le risorse destinate agli studenti bravi ma privi di mezzi, l’Italia no. Da noi i borsisti sono scesi del 9%, in Spagna sono aumentati del 55%, in Francia del 36%, in Germania del 32%. In Italia solo il 12% beneficia della borsa. In Francia è il 25,6%. E pensare che tra chi riceve la borsa c’è un tasso di abbandono (altissimo in Italia: 45%) del 13% in meno di chi non la riceve.

REGIONI – Le principali colpevoli del naufragio del diritto allo studio costituzionalmente garantito sarebbero in teoria le Regioni a cui questo importante settore è affidato dalla Carta, ma grandi colpe ha anche lo Stato che non ha incentivato, anzi ridotto l’impegno economico per questo settore. Il finanziamento delle borse di studio deriva in buona parte dalla tasse pagate dagli studenti. Dei 510 milioni di euro stanziati, 233 milioni vengono dalla tassa regionale pagata al momento dell’iscrizione. Il 42% in media delle risorse per il diritto allo studio proviene perciò dalle tasche degli studenti.

IMMATRICOLAZIONI – Le ultime ricerche fotografano una realtà in cui le immatricolazioni calano soprattutto tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali che alle spalle hanno famiglie economicamente più svantaggiate. Stesso discorso a livello geografico. Meno matricole nelle isole e al Sud. La sola università di Catania le ha dimezzate. In questi anni a essere aumentata è invece la mobilità lungo lo Stivale: un quinto dei diplomati meridionali si iscrivono in facoltà del Centro Nord.

Il Governo dovrebbe correre ai ripari, ma per il momento il rottamatore sembra piuttosto impegnato a percorrere l’Italia in lungo e in largo per promuovere il si al referendum costituzionale, dall’esito del quale ha promesso (sarà vero?) di far dipendere la prosecuzione o meno della sua carriera politica.


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Ezzelino da Montepulico


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