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Pubblica amministrazione: la scure della Madia sulla dirigenza. Rischiano in 30.000

ministero funzione pubblica
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La riforma della pubblica amministrazione è arrivata al punto più delicato, l’accorpamento, selezione, attribuzione d’incarichi ai livelli dirigenziali, che sono ricondotti da due a uno. Abbiamo già citato le polemiche sorte con i sindacati, e in particolare con la Cgil, che accusa il governo di voler giustificare in questo modo un vasto spoils system e di mettere così le mani sull’amministrazione centrale e periferica.

Sono infatti oltre 30 mila – lo abbiamo già ricordato in precedenza – i dirigenti pubblici che rischiano di essere messi nel calderone della riforma Madia, approvata alla fine di agosto, e che riscrive le norme che disciplinano i requisiti di accesso ai posti di comando dello Stato e degli enti locali.

Un progetto di legge le cui finalità sarebbero lodevoli: dare una spinta all’innovazione in un settore rimasto in alcuni casi a logiche ottocentesche, ma che rischia nella sua applicazione di creare una giostra di domande da parte di migliaia di concorrenti, già nell’amministrazione, in corsa per accaparrarsi gli incarichi più ambiti. Una delle principali critiche al provvedimento è stata, infatti, quella di aver annullato la distinzione tra i dirigenti di prima e seconda fascia.  Tutti i titolari di posizioni di vertice partono dalla stessa linea di partenza. Non ci sarà più l’incarico o la permanenza nel grado a vita. I dirigenti avranno un mandato a tempo di 4 anni, eventualmente rinnovabile, per una volta sola, per altri due anni.

In altre parole gli incarichi saranno assegnati con il principio della rotazione e chi non troverà una collocazione e rimarrà senza sedia, non percepirà la parte variabile della retribuzione. Per ogni anno passato senza un ruolo operativo, al dirigente verrà decurtata anche la retribuzione fissa del 10%. Dopo sei anni fuori dai ranghi, potrà essere licenziato, a meno che non accetti volontariamente di essere degradato a semplice funzionario.

Questo sistema ha sollevato le proteste dei direttori generali adesso in funzione, che non hanno gradito l’idea di partecipare alla lotteria dei concorsi insieme agli altri funzionari. Così il governo ha previsto una sorta di salvagente, ci sarà una “corsia preferenziale” per le amministrazioni che, quando emetteranno i bandi per gli incarichi secondo il nuovo regime, dovranno riservare almeno il 30% dei posti a chi ha già ricoperto un ruolo di prima fascia.

Altro punto dolente quello di non prevedere differenziazioni salariali secondo le fasce di responsabilità che i dirigenti assumono. Anche nell’ambito di ruoli equipollenti infatti i carichi decisionali non sono sempre gli stessi. Nei vari ministeri ci sono settori più pesanti e che comportano elevate responsabilità, mentre altri sono più leggeri. Il ruolo unico invece rischia di appiattire tutti i dirigenti e di non riconoscere economicamente la differenze di mansioni assegnate.

Sono tutti problemi che probabilmente verranno affrontati in un secondo momento, sulla base dell’esperienza della prima attuazione della riforma che, come tutte le novità, ha bisogno di tempo per essere digerita e sistemata a dovere, con le opportune correzioni, una volta verificate le disfunzioni più significative.

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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