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Pubblico impiego: il nodo dell’intesa con le Regioni sull’attuazione del contratto

ministero funzione pubblica
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La riforma del pubblico impiego, dopo la sentenza 251 della Consulta, non si può fare senza l’«intesa» con le Regioni. Proprio con le autonomie, quindi, Governo e sindacati dovranno fare i conti, e non è detto che sarà semplice. Innanzitutto occorrerà blindare i decreti attuativi della riforma Madia sui licenziamenti in 3o giorni degli assenteisti, che il governo punta a portare in Conferenza unificata il 15 dicembre insieme a quelli su partecipate e dirigenti sanitari.

Su questi temi infatti si svolgerà il confronto con gli enti territoriali (nella Stato-Regioni oppure nell’Unificata, dove ci sono anche Comuni e Province, a seconda dei casi) per mettere al riparo da ricorsi i decreti attuativi già emanati, a patto ovviamente che si trovi l’«intesa». Impresa non semplice perché basterà il veto di alcune regioni, Veneto in primis, per far mancare l’unanimità necessaria per superare lo scoglio.

Il Governo però avrà sempre una scappatoia, perché le regole permettono un’alternativa, costituita dalla cosiddetta «intesa debole», regolata dalla legge 131/2003, che dopo 3o giorni di inutili trattative permette al Governo di andare avanti comunque motivando le ragioni del mancato accordo.

Per non sforare i tempi della delega, il testo unico dovrà arrivare sui tavoli del consiglio dei ministri entro febbraio. Ma il confronto con Regioni ed enti locali, in questo caso preventivo, serve anche per liberare la strada al testo unico del pubblico impiego, indispensabile per rivedere la legge Brunetta e ridare alla contrattazione le competenze (incentivi, produttività, integrativi e così via) promesse dal recente accordo.

Ma ci saranno altre difficoltà: gli «85 euro medi» concessi anche a milioni di dipendenti in organico a Regioni, sanità ed enti locali vanno finanziati con i bilanci delle autonomie, per cui l’avvio del confronto con gli amministratori è indispensabile anche per placare qualche agitazione che inizia a serpeggiare.

La tappa successiva sarà rappresentata dai quattro atti di indirizzo, con cui la Funzione pubblica indicherà le regole dei contratti ai comitati di settore per i quattro comparti: pubblica amministrazione centrale, scuola-università sanità ed enti territoriali. In quella sede saranno precisati i criteri della «piramide rovesciata», cioè del meccanismo che chiede di aumentare di più le buste paga oggi più leggere.

Le cifre effettive, però, andranno scritte nei contratti che usciranno dalle trattative all’Aran, perché ogni settore della Pubblica amministrazione ha oggi cifre di partenza diverse. La distribuzione degli aumenti dovrà legarsi agli allineamenti dettati dal fatto della necessaria confluenza dei precedenti 11 comparti nei quattro contratti nazionali previsti dall’accordo firmato ad aprile, in un incrocio di variabili non facile da sciogliere.

Come si vede la strada, nonostante l’ottimismo iniziale, è ancora tutta in salita, ma c’è tempo fino al febbraio 2017 per sbrogliare la matassa.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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