Politica: Verdini all’opposizione, d’accordo con Renzi per affossare il governo-fotocopia di Gentiloni

Il retroscena: «Non staremo mai in posti di sottogoverno, non ci legittimano con le poltrone». E’ un vero e proprio consiglio di guerra quello che Denis Verdini ha convocato nel quartier generale di Ala-Scelta Civica, proprio mentre il neopremier Paolo Gentiloni stava ultimando la lista dei ministri da presentare al Colle. Ore caldissime, fatte di contatti frenetici e di prese di posizione che alla fine risulteranno drastiche.
Alla compagine verdiniana, infatti, è arrivata chiara, e anche inaspettata, la notizia che non sarebbe stato assegnato alcun ministero. Alcune ultime telefonate – rivelano fonti di Ala – sono intercorse nel pomeriggio: con il presidente Mattarella, Matteo Renzi, Luigi Zanda e due volte con Gentiloni. E la proposta di Gentiloni, si è appreso ancora, era quella di entrare nel nuovo esecutivo da viceministri o da sottosegretari. I motivi della presa di posizione del neo premier sarebbero tutti interni al Pd, con la minoranza pronta ad andare allo scontro totale. Ed Ala ha scelto di sfilarsi: per 17 mesi ha dato il suo appoggio, ora pensava di scambiare il suo sostegno a un governo fotocopia del Renzi-bis con un paio di poltrone di sottogoverno, questi i concetti che sono filtrati dal quartiere generale verdiniano. Dove non si risparmiano frecciate agli alfaniani e a FI. Avevamo Ncd contro, e forse anche una parte di FI, abbiamo dimostrato che non ci comprano con le poltrone, è il mantra che è risuonato nel consiglio di guerra di via Poli. Nelle ore frenetiche della composizione del governo Gentiloni filtrava in maniera prepotente una certa fibrillazione degli alfaniani per la maniera (e il numero di incarichi) con la quale Ala sarebbe entrata nell’esecutivo.
Abbiamo dimostrato che noi siamo diversi, è il commento che i verdiniani hanno fatto filtrare; subito dopo la dura nota diramata dai due leader del gruppo: Denis Verdini ed Enrico Zanetti. Una nota in cui si certifica il no alla fiducia ad un governo che pare intenzionato a mantenere lo status quo e che non assicura il giusto equilibrio tra rappresentanza e governabilità. E mentre Paolo Gentiloni, al Quirinale, leggeva la lista dei ministri, i verdiniani hanno certificato la loro svolta: Enrico Zanetti, vice ministro dell’Economia, lascia il Mef e nessun esponente di Ala-Sc (con Saverio Romano che era dato in pole nelle ultime ore) entra nell’esecutivo.
Il Governo Gentiloni al Senato è sostenuto da Pd, Ncd, Autonomie, ed alcuni altri esponenti del gruppo Misto e di Gal. Sulla carta può contare su una forbice che va da un minimo di 160 voti a un massimo di oltre 170. Il forfait di Zanetti e Verdini, pur non mettendo almeno sulla carta a rischio il voto di fiducia, almeno immediatamente, lascia intravedere un percorso ad ostacoli per la maggioranza nelle settimane a venire. Certo, con lo sfilamento dei 18 verdiniani, al Senato la maggioranza sarà meno larga, scendendo sotto quota 170. E, si sottolinea in Ala-Sc, dovrà dipendere dalla minoranza Pd a meno che non trovi l’appoggio di FI. Naccarato (Pd) dice che senza Ala la fiducia c’è, vedremo, pungolano i verdiniani che, giurano, non faranno mancare la loro voce nel dibattito sulla legge elettorale. Una riunione dei gruppi congiunti ha ratificato il no alla fiducia e, di fatto, l’inizio di nuova una fase politica. Una fase in cui la distanza dall’esecutivo Gentiloni non è detto si traduca in una distanza da Matteo Renzi. Tanto che, quando ormai i ministri hanno giurato, c’è chi, tra i verdiniani, commenta tra il serio e il faceto: «faremo opposizione con Renzi…». Arlecchino si confessò burlando. Forse non faranno opposizione insieme a Renzi, ma per Renzi.
Facendo intravedere che, sotto sotto, si tratta di una manovra probabilmente orchestrata dal rottamatore che vuol tenere sotto tiro anche il «suo governo-fotocopia», in modo da non farlo durare molto e andare presto, come lui desidera, a elezioni anticipate.
