La buona scuola: i sindacati confidano in un colloquio costruttivo col nuovo governo

ROMA – Quando saranno passate le polemiche per la nomina della nuova ministra dell’istruzione senza laurea, Valeria Fedeli, si comincerà a valutare quanto il nuovo esecutivo deve fare per rimediare ai guasti della riforma renziana della buona scuola, che è costato il posto alla ministra Giannini, unica della vecchia compagine a esser fatta fuori per volontà del rottamatore. Un’acuta analisi è stata fatta del periodico online Tuttoscuola, dedicato proprio ai problemi specifici del mondo dell’istruzione, che riproduciamo in quanto ci sembra particolarmente interessante.
«Secondo molti commentatori il no alla riforma della Costituzione targata Renzi-Boschi non ha riguardato tanto il merito di quella riforma (superamento del bicameralismo perfetto, riordino del rapporto tra Stato e Regioni, CNEL…) quanto il metodo: l’aver imposto quel modello facendo leva, soprattutto alla Camera, su una maggioranza parlamentare ‘drogata’ dalla legge elettorale, senza aver cercato un consenso più largo. E aver dato l’impressione di voler fare di quel metodo una filosofia di governo, fondata sul primato della decisione rispetto alla mediazione e alla partecipazione.
Se fosse prevalso il sì, anche riforme decisioniste (nel senso di realizzate senza cercare il consenso di importanti ‘corpi intermedi’ come i sindacati) come quelle della Buona Scuola e del Jobs Act sarebbero state avallate da un voto popolare ad alta partecipazione come quello referendario, ponendo rimedio al deficit di legittimazione democratica di un governo, come quello guidato da Renzi, che aveva potuto fruire in Parlamento del superpremio di maggioranza previsto dal ‘Porcellum’. Il successo del sì avrebbe posto le premesse per una legge elettorale che avrebbe consentito alla maggioranza ‘drogata’ di diventare con la nuova legislatura una maggioranza normale, e di gestire con tranquillità le citate riforme decisioniste.
Il netto successo del no ha rimesso invece in qualche modo in discussione quelle riforme: non, ovviamente, sotto il profilo della loro legittimità formale, perché si tratta pur sempre di leggi approvate dal Parlamento e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, ma dal punto di vista della loro implementazione e gestione, che presenta ampi margini di interpretazione, come mostrano bene i molti Decreti legislativi previsti dalla legge 107/2015.
Dietro la scelta del nuovo premier Gentiloni (nonché di Matteo Renzi in qualità di segretario del PD) di sostituire il ministro dell’istruzione Giannini con una ex sindacalista di punta come Valeria Fedeli si intravede l’intenzione di aprire quel dialogo con i sindacati (con tutto ciò che ne consegue) che la linea di disintermediazione decisionista finora perseguita aveva reso impraticabile».
Ecco, è soprattutto significativa l’ultima asserzione, che mostra come il mondo della scuola e molti insegnanti si siano sentiti trascurati e esclusi dal decisionismo renziano, dalle riforme decise ex cathedra, senza ascoltare nessuno, come caratteristica del modo di agire del boy scout fiorentino. Che dovrebbe profittare di questo periodo di pausa per riflettere sugli errori compiuti, ripartire con nuovo approccio e scegliersi magari collaboratori che non abbiano il solo pregio di dire signorsì.
