Hotel Rigopiano: a un anno dalla tragedia va avanti l’inchiesta, ma non si è riorganizzata la protezione civile

Domani cade il primo anniversario della tragedia di Rigopiano, una vicenda che ha mostrato sottovalutazioni, disorganicità, disorganizzazione di cui ancora soffre la nostra struttura di protezione civile. Una tragedia consumata in una manciata di secondi e che nell”arco di poche ore ha portato, prima ad una assoluta disperazione e poi al salvataggio di 9 superstiti dalle rovine dell’hotel distrutto dalla valanga, che ha causato 29 morti. La cronaca dei fatti di Rigopiano di un anno fa smaschera impietosamente il fallimento dell’intervento delle Autorità locali.
– IL GIORNO DEL DISASTRO: Il 18 gennaio in Abruzzo è in atto una violenta bufera di neve e si verificano 4 scosse di terremoto.
Gli ospiti dell’Hotel Rigopiano, completamente isolato dalla nevicata, vogliono andarsene. Il proprietario invia diverse richieste d’aiuto.
Nel pomeriggio, tra le 16.30 e le 16.50, una valanga travolge la struttura. Alle 17.08 Giampiero Parete, illeso perché si trovava nel parcheggio, lancia l’allarme al 118: dice che c’é stata una valanga e che l’albergo é crollato. Alle 17.10 la prefettura chiama l”hotel, ma nessuno risponde. Alle 17.40 una funzionaria della prefettura contatta il direttore dell’hotel, Bruno Di Tommaso, che però è a Pescara e dice di non sapere nulla.
Alle 18.03 Parete chiama il suo titolare Quintino Marcella, che fa diverse telefonate al 112 e al 113. Alle 18.08 e alle 18.20 Marcella parla per due volte con la prefettura di Pescara, ma in entrambi i casi la funzionaria liquida la richiesta d’aiuto come un falso allarme. Solo alle 18.57 un volontario della Protezione civile crede al racconto di Marcella e la macchina dei soccorsi si attiva.

– LA TRAGICA CONTA DEI MORTI E IL SALVATAGGIO DEI SOPRAVVISSUTI:
Le squadre del Soccorso alpino si mettono in cammino con le ciaspole e gli sci già la sera del disastro, ma raggiungono il luogo della tragedia soltanto all”alba del 19 gennaio. Poco dopo arriva la colonna dei soccorritori, dietro le turbine che hanno lavorato tutta la notte per sgomberare la strada. Vengono, subito tratte in salvo due persone, scampate alla valanga perché si trovavano all’esterno dell”hotel.
Le macerie restituiscono le prime vittime. Ma il 20 gennaio vengono recuperati 9 superstiti, tra i quali 4 bambini. Insieme a loro affiorano anche altri cadaveri. Le operazioni terminano il 25 gennaio con un bilancio di 29 morti e 11 sopravvissuti.
LE INCHIESTE:Sono 23 gli indagati. Tra le accuse più gravi quelle di omicidio colposo plurimo e lesioni plurime colpose.
Quattro i filoni principali dell’inchiesta.

Il primo, sui ritardi nell”attivazione della macchina dei soccorsi, chiama in causa l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il dirigente
dell’area Protezione civile Ida de Cesaris e il capo di gabinetto Leonardo Bianco. Secondo l’accusa, soltanto a partire dalle ore 10 del 18 gennaio venne effettivamente attivato il Centro coordinamento soccorsi, nonostante i pericoli e le intemperie. Versione contestata dalla difesa dell’ex prefetto secondo la quale l’attivazione avvenne già il 16 gennaio.
Il secondo filone sulla gestione dell’emergenza, vede indagati Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara; Paolo D’Incecco, ex dirigente del settore Viabilità e referente di Protezione civile; Mauro Di Blasio, responsabile degli stessi servizi; Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara; Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il Piano di reperibilità provinciale. Le
contestazioni sono: la mancata attivazione della sala operativa di Protezione civile, la non effettuazione della ricognizione dei mezzi spazzaneve e la mancata chiusura al traffico del tratto di strada provinciale che conduce a Rigopiano.
Il terzo filone dell’inchiesta riguarda la realizzazione del resort e vede coinvolti il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, gli ex sindaci Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, e i tecnici Luciano Sbaraglia ed Enrico Colangeli, in relazione alla mancata adozione del nuovo piano regolatore generale del Comune che, se fosse stato approvato – è la tesi dell”accusa – avrebbe impedito l’edificazione del nuovo hotel Rigopiano e quindi il verificarsi della tragedia. In riferimento al permesso rilasciato nel 2006, per la ristrutturazione del
complesso alberghiero, quando l”area era soggetta a vincolo idrogeologico, sono invece indagati Marco Paolo Del Rosso, l’imprenditore che chiese l”autorizzazione, Antonio Sorgi, dirigente della Regione Abruzzo e il tecnico comunale Enrico Colangeli. Secondo la Procura i tre, in assenza di autorizzazione, permisero l”edificazione del nuovo resort con annesso centro benessere, eludendo il pericolo di valanghe e tenendo aperta la struttura, anche alle autovetture e anche in pieno inverno, prescindendo dall”intensità delle nevicate.
L’ultimo filone riguarda la mancata realizzazione della Carta per il pericolo delle valanghe e vede indagati i dirigenti della Regione Abruzzo Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio.
Si tratta evidentemente, per ogni filone dell’inchiesta, d’indagare sulle varie responsabilità, certamente di tipo diverso. Si dovrà mettere in luce a chi spettasse decidere e programmare gli interventi, stabilire le priorità, individuare mezzi e uomini da impegnare, e a chi spettasse invece (e sembra che non l’abbia fatto) tenere in disponibilità i mezzi necessari per interventi d’emergenza (la mancanza di spartineve è stata fatale). E occorrerà ripensare all’organizzazione e alla catena di comando nella protezione civile, in questi casi, come nel terremoto dell’Italia centrale, si è sentita e si sente ancora la mancanza di un coordinamento e di una direzione unitaria con poteri decisionali e di spesa effettivi, sganciati da lacciuoli burocratici tanto cari alle magistrature contabili e amministrative. Ai tempi di Bertolaso ci saranno stati altri difetti, ma la macchina funzionava con precisione e tempestività, prontissima a intervenire e assumersi le responsabilità nel momento del bisogno. Ne sono stato personalmente e più volte testimone quando ho diretto le prefetture di Pisa, Campobasso e Torino. Ne avremmo abbastanza dei vari Errani, De Micheli, Curcio e compagnia bella, almeno per le emergenze che ci sia una struttura snella e funzionante, come accadeva in passato.
