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Governo: Renzi e i risultati delle elezioni regionali cambiano gli scenari. La parola a Mattarella

Parafrasando il titolo di un famoso romanzo epistolare di Johann Wolfgang Goethe, «I dolori del giovane Werther» potremmo dire che continuano e anzi si aggravano i dolori del povero Sergio, inteso come Sergio Mattarella, presidente della repubblica italiana scelto da Renzi.

Il povero Sergio infatti, dopo due mesi dalle elezioni, si trova a dover affrontare una situazione molto difficile, lui che non è certo un cuor di leone e un coraggioso decisionista, visto che i partiti non gli stanno dando certo una mano per decidere. Composti come sono, salvo qualche eccezione, da gente inesperta, di mediocre levatura, inadatti a costruire una qualche ipotesi di accordo che possa condurre alla formazione di un governo credibile.

Partiamo dal PD – il partito finora dominante, sotto la guida di Renzi si sta avviando forse a nuove scissioni, se non alla dissoluzione. E visti i risultati finora ottenuti non sarebbe una gran disgrazia. Dopo l’esternazione di Renzi, che ha chiuso giustamente all’accordo con il M5S, si inalbera il traghettatore Maurizio Martina: «Ritengo ciò che è accaduto in queste ore grave, nel metodo e nel merito. Così un Partito rischia solo l’estinzione e un distacco sempre più marcato con i cittadini e la società. Servirà una discussione franca e senza equivoci perché è impossibile guidare un partito in queste condizioni e per quanto mi riguarda la collegialità è sempre un valore, non un problema».
La Direzione del Pd si tiene mentre il partito risulta quanto mai diviso, nonostante il lavorio dei pontieri delle varie anime per ricucire gli strappi. Sulla carta i renziani godono di una maggioranza schiacciante che metterebbe al sicuro il loro rifiuto ad ogni ipotesi di trattativa. Ma la stessa area che fa riferimento all’ex segretario è percorsa da sentimenti diversi su questo tema, talvolta opposti. Per questa ragione il risultato non può considerarsi scontato.

LEU – La pratica scomparsa di una formazione che pur poteva contare su esponenti del calibro della Boldrini, di Grasso e di Rossi non è andata giù al governatore toscano, che non trova di meglio che prendersela con Renzi: «Renzi ha detto no al M5s, incolpando gli italiani che al referendum non hanno votato come lui voleva, e facendo capire che nel Pd è ancora lui a comandare. Non una parola critica sulle scelte del suo governo che hanno portato al trionfo di Lega e M5s. Intanto – conclude – dove si vota, il Pd prende altre scoppole e Leu in molti casi neppure si presenta. Stravince la destra che, con queste tendenze, alle prossime politiche potrebbe guadagnare la maggioranza assoluta dei seggi». Ma il governatore dovrebbe fare autocritica, riconoscendo che quelli che venivano chiamati in passato trinariciuti non hanno attualmente seguito e proposte concrete da avanzare e quindi non possono fornire un contributo positivo nella fase attuale di stallo.

M5S – Continua a pontificare Luigi Di Maio, la cui conduzione delle trattative è stata all’origine dello stallo attuale, insieme all’incapacità del Capo dello Stato di prendere in mano la situazione, lasciando agire in libertà attori non all’altezza. Come per l’appunto il leader grillino digiuno, non per colpa sua, di ogni cognizione istituzionale e costituzionale. Adesso, dopo il fallimento di ogni trattativa, sia a destra che a sinistra (il doppio forno, ma quello craxiano era un’altra cosa), Di Maio pensa che il ritorno veloce al voto sia l’unica soluzione possibile. Anche se, aggiunge, «ovviamente deciderà il presidente Mattarella». Una precisazione che però viene seguita da un’ulteriore chiusura, questa volta all’ipotesi di un governo di scopo per l’approvazione di una nuova legge elettorale: «Tutti parlano di inserire un ballottaggio nel sistema elettorale ma il ballottaggio sono le prossime elezioni», taglia corto Di Maio. Quindi, la nuova proposta a Salvini: «Chiediamo insieme di andare a votare e facciamo questo secondo turno a giugno. Facciamo scegliere i cittadini tra rivoluzione e restaurazione». Anche se i tempi per votare a giugno ormai non sembrano esserci più, qualcuno dovrebbe avvertirlo.

CENTRODESTRA – Il centrodestra si è mosso con maggior sagacia ed esperienza, e, dopo il successo netto anche in Friuli, chiede che Mattarella metta da parte ogni pregiudizio su Salvini e la sua coalizione, officiando un governo di minoranza che cerchi i voti in parlamento per i provvedimenti più importanti. Quali la nuova legge elettorale e la legge di bilancio, per poi andare al voto, probabilmente nella primavera 2019, quando, con un election day,  si potrebbero unificare europee, politiche e alcune amministrative importanti quali le comunali a Genova e Firenze.

Questa è la situazione che causa i mal di pancia, ben nascosti per la verità, di Mattarella, chiuso in un assoluto silenzio. Il presidente probabilmente fin dall’inizio aveva in animo di affidare un governo ponte a una personalità neutra, che non possa essere accusata di simpatie per qualche schieramento politico. E alla quale affidare il compito di formare un esecutivo formato da poche personalità d’indiscusso prestigio, con la finalità di adottare i provvedimenti indispensabili per arrivare a nuove elezioni con una legge che finalmente consenta di attribuire la vittoria (e il potere di governare) a uno schieramento.  Ma questa personalità non può essere individuata né in Gentiloni né in Letta, nomi indubbiamente eccellenti e di alta qualità, che hanno ovviamente una precisa connotazione politica, così come il ministro Minniti, evocato in passato come possibile premier. Ma Renzi ha osservato giustamente che chi ha perso le elezioni non può guidare il Governo, escludendo con ciò anche un trucchetto alla Napolitano che Mattarella avesse in animo di realizzare.
Aspettiamo le decisioni del Capo dello Stato, sperando che non contraddicano la volontà espressa chiaramente dagli italiani. Di Re Giorgi che fanno di testa loro ne abbiamo avuti abbastanza, con risultati esiziali.


Ezzelino da Montepulico


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