Marchionne: l’uomo che rivoluzionò le relazioni industriali e salvò la Fiat. Il ricordo di un prefetto
Sergio Marchionne è il manager che, a partire dal 2004, ha saputo salvare la Fiat dal fallimento, risanandola, sia pure a prezzo di una riduzione dell’occupazione. Un uomo capace di fare scelte impopolari, protagonista del duro scontro frontale con la Fiom, ma anche di una scelta clamorosa nel campo delle relazioni industriali, quando annunciò a fine 2011 l’uscita da Confindustria, della quale, all’inizio del ‘900, la Fiat era stata uno dei soci fondatori. Un manager al centro anche delle relazioni politiche mondiali, da Obama a Trump, che in Italia ha respinto l’invito di Silvio Berlusconi a candidarsi con il centrodestra e ha avuto una lunga luna di miele con l’ex premier Matteo Renzi dal quale ha poi preso le distanze. A Torino Marchionne lo aveva portato Umberto Agnelli, che lo aveva conosciuto in Sgs e lo aveva voluto nel consiglio di amministrazione. Il primo giugno 2004, pochi giorni dopo la morte di Umberto, è l’uomo scelto per guidare la rinascita, con Luca di Montezemolo presidente e John Elkann vicepresidente.
In quegli anni, da prefetto di Torino, ho avuto modo d’intrattenermi più volte con lui, e, nella prima visita al Lingotto, mi condusse per un’intera mattinata a visitare la fabbrica, incontrando gli operai, illustrandomi le novità introdotte nell’azienda, facendomi vedere reparti specializzati come quelli dove si progettavano i modelli Abarth.
Sotto la sua guida Fiat lancia a Torino la Grande Punto e vara un piano che prevede entro il 2008 investimenti per 10 miliardi. Quando presenta i conti 2006, Marchionne parla di una Fiat finalmente uscita dall’emergenza e a suggellare la rinascita arriva il 4 luglio 2007 la nuova 500 presentata con una grande festa a Torino. Poi la crisi del 2008 costringe il Lingotto a modificare i piani e richiede un massiccio ricorso alla cassa integrazione.
Nel 2009 Marchionne, con una grandissima intuizione, riesce a salvare Chrysler dal fallimento, con la trattativa con il Tesoro Usa e i sindacati americani e la benedizione da parte del presidente Barack Obama. Porta a termine così la magistrale operazione da cui è nata Fiat Chrysler Automobiles, sesto produttore mondiale di auto, con domicilio fiscale a Londra e sede legale trasferita dopo 115 anni da Torino ad Amsterdam, quotata a Milano e a Wall Street.L’ ultima uscita ufficiale a Balocco, ai primi di giugno, nel Capital Market Day di Fca quando Marchionne, per la prima volta con la cravatta per rispettare una vecchia promessa, annunciò il traguardo del debito zero e di un piano di 45 miliardi di euro di investimenti con al centro vetture premium e l’auto del futuro.
Come ho detto conservo alcuni significativi ricordi del periodo trascorso da Prefetto di Torino, in quei quasi tre anni nei quali ho avuto spesso l’occasione di incontrare e di parlare con Marchionne. Il primo incontro, al Lingotto, quando mi condusse personalmente a visitare gli stabilimenti, illustrandomi le novità nella produzione e nella gestione aziendale, e notai la familiarità e l’attenzione con la quale trattava i dipendenti, da questi ricambiato. Conobbi i dirigenti dell’azienda, John Elkann e poi il pranzo spartano, veloce ma di ottima qualità in una stanzetta del Lingotto dove Marchionne probabilmente mangiava e riceveva i suoi ospiti senza tanti fronzoli, come suo costume.
Il maglione blu è diventato l’emblema della sua presenza in pubblico, anche in occasioni ufficiali. In quasi tutte le occasioni era accompagnato da John Elkann al quale impartiva consigli e direttive, talvolta in modo anche un po’ brusco, ma salutare. In occasione del compleanno di Gianluigi Gabetti, uno dei protagonisti della storia della Fiat e della famiglia Agnelli, fui invitato da quest’ultimo (a cui mi legavano cordiali rapporti) a un pranzo ristretto nella sua bella casa di Murazzano, nell’Alta Langa. Pensai di andarci con l’auto, ma Marchionne m’invitò a bordo del suo elicottero personale, decollato dal tetto di uno degli stabilimenti Fiat e atterrato in un prato vicino alla casa di Gabetti.
Non mi azzardo a esprimere un giudizio sul manager, i risultati ottenuti parlano per lui. Tanti, a cominciare dal Presidente Rossi, lo stanno denigrando in modo vergognoso. Mi resta il ricordo di un uomo pratico, essenziale, che curava i rapporti fondamentali per lo sviluppo dell’azienda e che operava con convinzione e con decisione nell’interesse dell’azienda a lui affidata, che ha condotto ai traguardi che tutti conosciamo con grande competenza ed efficienza. Una persona che sono onorato di aver conosciuto e frequentato.
