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Il Governo, lingua biforcuta, non mantiene le promesse, anzi aumenta le tasse locali

Il premier Giuseppe Conte, con Luigi Di Maio e Matteo Salvini

Le difficoltà con le agenzie di rating e con lo spread, i difficili rapporti con gli uffici e i rappresentanti istituzionali della Ue, con i presidenti di altri Stati come la Francia e la Germania, stanno caratterizzando l’azione del governo, che stenta a decollare. Ma purtroppo, a fronte di un programma ambizioso, si deve rilevare anche una grave indecisione, dovuta ai fattori anzidetti e a qualche contrasto interno,  nella realizzazione del contratto sottoscritto da Salvini e Di Maio, ancora carente in quasi tutti i punti.

Uno dei pochi fattori positivi, oltre al consenso popolare che è rimasto elevato (anzi lato Lega si è moltiplicato in modo esponenziale), è la lotta all’immigrazione clandestina e agli sbarchi, moltiplicatisi con la gestione Renzi e iniziati a scemare con Minniti. Salvini, con una politica muscolare, tipica del suo carattere, ha bloccato navi Ong, Guardia costiera e trafficanti, e la rotta preferita dei disperati che attraversano il Mediterraneo è ormai, gioco forza, quella verso la Spagna del governo Sanchez.

Ma poi? Il voltafaccia per la costruzione del Tap e la rivolta della base grillina in Puglia, la storia infinita e ogni giorno diversa della riforma delle pensioni, ma soprattutto la promessa di riduzione delle tasse restata ancora nel cassetto fanno dubitare in qualche progresso nell’attuazione del programma e delle promesse elettorali. Flat tax, riduzione Irpef, vantaggi per le famiglie sono ancora nel mondo dei sogni. E anzi alcune anticipazioni fanno capire che grillini e leghisti, per accattivarsi il favore dei sindaci e dei governatori, sono pronti a permettere gli aumenti delle tasse locali e regionali, consentendo ai voraci rappresentanti delle autonomie di riempirsi i forzieri a spese dei cittadini, che pagano sempre e comunque con qualsiasi governo.

Rileggiamo attentamente il contratto di governo, punto 11 FISCO: FLAT TAX E SEMPLIFICAZIONE. Si diceva che  «punto di partenza è la revisione del sistema impositivo dei redditi delle persone fisiche e delle imprese, con particolare riferimento alle aliquote vigenti, al sistema delle deduzioni e detrazioni e ai criteri di tassazione dei nuclei familiari». Ebbene non sembra proprio che si vada in questa direzione, anzi. Toro Seduto direbbe che il Governo ha la lingua biforcuta, visto che alcune anticipazioni della sottosegretaria Castelli hanno fatto comprendere che ci si prepara a nuovi aumenti di tasse.

Sarebbero infatti  6.782 i Comuni che potrebbero rivedere al rialzo le addizionali Irpef se a fine anno si spegnerà il congelatore dei tributi locali acceso tre anni fa. La ripresa riguarderebbe anche l’Imu sulle seconde case, dove sono 6.516 i sindaci che finora si sono fermati prima di arrivare all’aliquota massima del 10,6 per mille. In gioco ci sono poi le Irpef regionali, per le quali i Governatori, sempre a caccia di fondi da spendere, avrebbero spazi per aumenti potenzialmente enormi. L’ipotesi è stata confermata anche da esponenti della Lega.

Dove sono finite le promesse elettorali? Si tiene a mantenere solo quelle del blocco dei migranti (lato Lega) e di concessione del reddito di cittadinanza (lato M5S), depredando a tal fine i pensionati che hanno lavorato e pagato contributi e tasse per tutta una vita, per mantenere a ufo nullafacenti, evasori di tasse e contributi?

Avevamo creduto alle promesse di rinnovamento del nuovo governo e espresso un plauso per la sua ferma resistenza alle rigide imposizioni dell’Europa dei finanzieri e dei mercanti, che opprime popoli e paesi come Italia, Grecia e Portogallo per mantenere il benessere di Francia, Germania (soprattutto) e paesi del Nord Europa. Che fanno fronte comune contro di noi per mantenere tale vantaggiosa (per loro) situazione.

Continuiamo a sostenere queste posizioni, ma non possiamo approvare una politica miope, incerta, punitiva sostanzialmente del ceto medio e delle piccole e medie imprese, tesa praticamente a favorire furbetti del quartierino, finanzieri, grandi imprese, così come hanno fatto in fondo tutti  i precedenti governi del presidente, fino a Gentiloni. In tal modo anche il governo del cambiamento è destinato a fallire, se non mantiene le principali promesse. Dei vari Monti, Fornero, Cancellieri, Renzi, Boschi ecc. ne abbiamo avuto già abbastanza. Ci hanno fatto fare sacrifici enormi senza alcun vantaggio apprezzabile.

Se questo andazzo dovesse ripetersi anche con il governo gialloverde –  e qualche segnale, lo abbiamo accennato, lo stiamo cogliendo –  non si vedrebbero purtroppo alternative plausibili all’orizzonte. La sinistra non esiste, la destra neppure, Berlusconi e le sue politiche ormai sembrano appartenere al passato, di governi tecnici non ne vogliamo sentir parlare, viste le esperienze catastrofiche.

L’episodio di Melendugno, la rivolta dei fedeli grillini contro l’establishment del M5S, e quella prevedibile nelle regioni del Sud se non si arriverà al reddito di cittadinanza, osteggiato sostanzialmente dalla Ue, o nelle regioni del Nord se non si attueranno politiche di favore verso partite Iva e PMI, ci fa temere che, a lungo andare, si possa tornare ai tempi dei forconi agitati dai manifestanti nella stagione più acuta della crisi. Ma neppure questa sarebbe una soluzione, anzi…..


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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