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Le forze di coalizione alla caccia di jihadisti in Siria e in Libia, anche con i droni

Combattenti della Jihad islamica

Il quotidiano cattolico Avvenire dimentica per un giorno l’assalto contro il ministro Salvini, definito quasi come un demonio, stile Famiglia Cristiana, sol perché cerca di frenare il business dell’immigrazione, e si dedica ad argomenti inconsueti per il mondo cattolico, quali la caccia ai jihadisti che le forze della coalizione stanno realizzando da tempo. Ecco l’analisi del quotidiano, che riportiamo per il suo indubbio interesse per l’opinione pubblica.

Sono operazioni semi-segrete, ordite dalle forze speciali e dai droni. Puntano alla cattura e all’eliminazione dei vertici jihadisti. Raid mirati che stanno accompagnando ovunque le varie fasi della guerra contro il terrorismo. In Afghanistan, in Iraq, in Somalia, in Yemen, in Siria, in Iraq, in Libia e in Mali c’è una sorta di caccia all’uomo, fatta di un intreccio di intercettazioni, lavoro certosino di intelligence e vigilanza permanente dello spazio aereo. Soprattutto ora che la fine della guerra in Siria si avvicina, i jihadisti sono circoscritti in una ridotta a ridosso dell’Eufrate ed è stato dato il «rompete le righe» ai combattenti.

Fino all’obiettivo finale, che dovrebbe mirare a disarticolare i gruppi terroristici, eliminando i cervelli della rete. L’ultimo colpo è stato assestato dalla task force Sabre in Mali, da una squadra dei 500 uomini delle forze speciali francesi basati in Burkina Faso. E stata Florence Parly a darne subito notizia: il numero due dell’Alleanza per la vittoria dell’islam e dei musulmani, Yahia Abou Hamman, è stato ucciso nel primo pomeriggio del 21 febbraio, a nord di Timbuctu, in una zona monitorata da tempo da almeno un drone, decollato da Niamey, in Niger. E un continuum di avamposti e basi occidentali il desertico Sahel, la nuova frontiera del jihadismo più vicina all’Europa, puntellata soprattutto dai francesi e dagli americani. Hamman è il quarto comandante a essere ucciso nel giro di un anno. Faceva parte del cerchio più ristretto del capo dei capi, Iyad Ag Ghaly, il terrorista più ricercato della regione. Si spera ora di arrivare ai contatti di quest’ultimo e di prenderlo, costi quel che costi.

Come si sta cercando di fare con al-Baghdadi, in Siria, e con i foreign fighters (i combattenti stranieri) occidentali che nessuno desidera rimpatriare. Le forze speciali americane, britanniche e francesi avrebbero ordine di «non fare prigionieri». Forse anche quelle danesi. Si tratta di II bersaglio «numero uno»: al-Baghdadi.  Dal 2014, Abu Bakr al-Baghadi è stato dato per morto una mezza dozzina di volte. E invece potrebbe aver seguito le orme di Benladen, modificando di 360′ i suoi stili di vita. L’anno scorso era stato intercettato dalla Nsa americana a Deir ez-Zor. Facendo man bassa delle confessioni di Abu Zaid al-Iraqi, catturato in un’operazione sinergica fra operazioni al limite della legalità, di regolamenti di conti da far west, come avviene in tutte le guerre asimmetriche, contro miliziani, tecno-guerriglie e jihadisti privi di copertura aerea. I droni armati fanno il lavoro sporco, insieme alle forze speciali, infiltrate con elicotteri. Si uccide, purtroppo. A volte si mietono vittime innocenti, si sequestrano armi, telefoni portatili e computer ricchi di informazioni per l’intelligence. Gli israeliani sono maestri nel campo. Studiano meticolosamente l’obiettivo e ne affidano le sorti ai droni o molto più spesso al Kidon, il ramo più segreto del Mossad. Addestrati nel deserto del Neghev, i commando si muovono generalmente in cellule formate da tre uomini e una donna, trappola ideale per liquidare bersagli maschili.

Molte azioni avvengono in Medioriente, ma anche l’Africa è assurta a teatro operativo. Non meno clandestini sono i programmi americani di omicidi mirati in Afghanistan, Yemen e Somalia, con centinaia di raid e blitz delle forze speciali dal decennio scorso ad oggi. Il 20 febbraio, i droni a stelle e strisce hanno chiuso definitivamente anche il dossier di Fabien Clain e del fratello Jean-Michel, eliminati nell’area di Baghuz, l’ultimo fortino del Daesh in Siria. Fabien era il jihadista francese che aveva prestato la voce alla rivendicazione dei sanguinosi attacchi a Parigi nel 2015.

Interessanti anche i numeri riportati: la legione straniera affluita nel Califfato conta su 40mila circa combattenti stranieri che hanno raggiunto il Daesh, dal giugno 2014 alla fine del 2017, con 110 nazionalità rappresentate in Siria e Iraq: 5.600 sarebbero i combattenti rientrati nei Paesi di origine, 138 i foreign fighter italiani partiti per il Siraq o la Libia: 47 i morti in combattimento, 28 i probabili rimpatriati.

Sono numeri inquietanti, e speriamo che intelligence, polizia e magistratura continuino nella loro opera di prevenzione.


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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