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Governo giallorosso: restano due ostacoli da superare, nome del premier e riduzione del numero dei parlamentari

ROMA – Già nella serata di ieri, dopo le dichiarazioni precise e dure di Mattarella, sono continuati i contatti che andavano avanti già da tempo per defenestrare Salvini e dare il via a un Governo M5S – Pd, dopo che le due parti se ne erano dette di tutti i colori nel corso della legislatura. ma tant’è, il trasformismo è una caratteristica della nostra politica.

«Noi abbiamo 5 punti, loro 10. Tutti e due siamo per lavorare a un governo forte e solo dopo per affrontare il voto. Bene, no?». Uno dei mediatori, tra i più ottimisti, tra Pd e M5s enfatizza a fine giornata gli aspetti positivi della situazione. La trattativa ‘giallorossa’ ha fatto grandi passi in avanti, in parte inaspettati se si considera che fino ad oggi i contatti erano andati avanti solo tra gli sherpa in via non ufficiale.

Eppure, dopo tanti giorni di ‘lavorio’ sottotraccia, i contatti sono alla fine diventati formali: il capo dello Stato ha dato a dem e pentastellati quattro giorni pieni di lavoro, fino a martedì. Dopo, un nuovo giro di consultazioni di 48 ore ma poi sarà incarico: giallorosso o a un premier ‘elettorale’, per portare il Paese alle urne. “Il presidente, su questo, è stato chiaro”, si spiega dalla delegazione dem salita al Quirinale. Una chiarezza, quella del capo
dello Stato, interpretata da chi è ottimista come una buona spinta alla chiusura dell’accordo.

Le premesse al patto Pd-M5s sono nel via libera dell’Assemblea pentastellata ad un incontro con i dem soprattutto per affrontare il tema del taglio dei parlamentari. Nel Pd, escluso Renzi, sarà Zingaretti a gestire la partita. E anche in questa ottica va letta l’indiscrezione sui 3 punti non negoziabili che oggi ha fatto scoppiare la tensione con i
renziani. Il segretario ha voluto alzare l’asticella volutamente. A segnalare che il Pd va alla trattativa non con il cappello in mano, al contrario marcando dei punti precisi.

Dalle parti del Pd, c’è da registrare l’ottimismo di Andrea Marcucci (“l’obiettivo di arrivare ad un programma rigoroso nei tempi celeri che vuole il Capo dello Stato, è raggiungibile”). Ma anche le parole dello stesso Zingaretti: “Dai punti programmatici esposti da Di Maio emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare”. Eppure, nonostante i passi avanti compiuti dalla trattativa, i nodi da sciogliere non sono tutti spariti.

Tra i dem, per tutto il giorno si è consumata una strisciante polemica con scambio di accuse tra renziani (“la velina Gentiloni stava per far saltare tutto”) e zingarettiani (“troppe furbizie!”) a causa dei 3 punti “non negoziabili” posti da Nicola Zingaretti per il suo sì al via libera al lavoro con il M5s. Una polemica andata avanti per tutto il giorno e poi stoppata dallo stesso segretario (“i 3 punti sono la sintesi dell’Odg votato all’unanimità in Direzione”) dopo una levata di scudi dei renziani.

Resta, ovviamente, il problema di fare la sintesi tra i 5 punti del Pd e i 10 del M5s, in particolare sul taglio dei parlamentari che vede le parti con posizioni distanti. Sullo sfondo, non evocata da nessuno, c’è poi il macigno della Tav Torino – Lione, con il Pd schierato sul fronte del si e il M5S sul No, ma stranamente né Di maio né Zingaretti hanno inserito la questione fra i punti del programma di governo, troppo rischioso, potrebbe far saltare il banco.E restano tutti i problemi legati al nome del presidente del Consiglio e alla squadra di governo. Il premier ‘giallorosso’ dovrà essere sul tavolo del prossimo giro di consultazioni al Quirinale. “Il nome di Conte ormai è fuori”, assicurano dal Pd facendo notare che anche Di Maio, dopo l’incontro con Mattarella, non abbia mai citato il nome del premier uscente. I dem, però, si aspettano che proprio per questo motivo il M5s rilancerà sul premier, con lo stesso Di Maio in cima alla lista. E questo potrebbe diventare un incaglio nella trattative se Zingaretti dovesse mettersi di traverso. E comunque se alla fine dovesse esserci un premier 5 Stelle, diventerebbero concrete le chance di Paolo Gentiloni  di diventare commissario Ue.

Restano sempre nel totonomi le figure di un premier di area, come Raffaele Cantone o Enrico Giovannini. Nella squadra, circolano i nomi di Franco Gabrielli (Interno), Nicola Gratteri (Giustizia), Ernesto Ruffini (Fisco/Entrate), Roberto Gualtieri (Ue o Economia), Anna Ascani (Cultura), Emanuele Fiano (Interno), Luigi Marattin (Economia) e dello stesso Cantone.

Se il patto giallorosso dovesse incepparsi a un passo dal traguardo solo ed esclusivamente sul nome del candidato premier, gli ‘sherpa’ non escludono di poter ricorrere ad un aiuto al Quirinale, con un ok all’indicazione di un nome ‘super partes’, stimato da tutti, capace di chiudere la partita. In quest’ottica si fa il nome non solo di un giurista di primo piano (Sabino Cassese) ma anche di una donna come Marta Cartabia o Paola Severino.

Ma resta sullo sfondo l’ostacolo fondamentale: Di Maio e il M5S chiedono come condizione imprescindibile che si arrivi immediatamente all’approvazione della riduzione del numero dei parlamentari, che il Pd invece vorrebbe rimandare per collegarla alla riforma della legge elettorale. Superato questo scoglio il matrimonio giallorosso, innaturale così come lo era quello gialloverde, potrebbe celebrarsi con la benedizione di Mattarella.


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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