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Il taglio delle tasse sul lavoro, uno stanziamento iniziale di 5 miliardi di euro

Le promesse del premier Conte ai sindacati, col taglio delle tasse sul lavoro come priorità dell’azione di governo, si sostanziano in un piano articolato su tre anni, a partire dal 2020, con uno stanziamento iniziale di circa 5 miliardi di euro. Governo al lavoro per ridurre il cuneo fiscale, vale a dire per alleggerire quegli oneri tributari e contributivi che appesantiscono la busta paga allargando il divario tra salario lordo e netto. Una misura che vuole avere un impatto politico e caratterizzare l’azione dell’esecutivo, ma che naturalmente dovrà essere inquadrata nell’insieme degli impegni finanziari, che comprendono in primo luogo l’annullamento dei previsti aumenti Iva.

Come osserva Michele di Branco sul Messaggero, il bonus degli 80 euro che porta la firma di Matteo Renzi potrebbe essere potenziato e trasformato per alleggerire il fisco in favore della fascia di lavoratori dai redditi medi e bassi. Una delle ipotesi più probabili è quella di un’estensione del bonus 80 euro (oggi riservato ai redditi tra 8 mila e 26 mila euro) alle fasce più basse sotto la soglia della no tax area (gli incapienti) e a quelle medie, come minimo fino ai 28 mila euro del secondo scaglione Irpef, ma probabilmente anche fino ai 36 mila, sotto forma però di detrazione.

Sulla base di questo schema sarebbe stato calcolato un beneficio netto da 1.500 euro all’anno per i redditi più bassi, con vantaggi robusti fino alla soglia dei 30 mila euro lordi all’anno. Occorre ricordare che ogni punto tagliato di cuneo per tutto il lavoro dipendente pesa per 2,5 miliardi sui conti pubblici, dunque al momento si sta ragionando su una riduzione di due punti. All’interno della maggioranza si ipotizza anche un’altra soluzione: riduzione mirata dei contributi sociali a carico del datore di lavoro per lavoratori a bassi salari. Una strada sperimentata con successo in Francia. Ma questa pista è meno probabile, in questa fase.

Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha suggerito di realizzare una sforbiciata al costo del lavoro di natura selettiva. Il numero uno dell’Istituto di previdenza ha spiegato che la politica degli sgravi «dovrebbe andare nella direzione di una sostenibilità socio-ambientale». Concetto molto vago e poco tecnico. Le statistiche, ad ogni modo, sembrano confortare l’utilità del taglio del cuneo fiscale. Secondo il più recente rapporto dell’Ocse (Taxing Wages 2019), nel 2018 in Italia la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del 47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà. Nella classifica europea, l’Italia è terza e dopo il Belgio, primo in classifica con un cuneo fiscale e contributivo pari al 52,7 per cento, e la Germania con il 49,5 per cento. Subito dopo di noi si trova la Francia, con il 47,6 per cento, appaiata con l’Austria. Seguono poi Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Lettonia e Finlandia.

Nessuno, neppure il Presidente Inps, pensa a come ridurre il peso e gli oneri dei pensionati, che pure hanno assegni non stratosferici e pagano le tasse fino all’ultima lira. Una delle categorie più tartassate da tutti gli ultimi governi, a cominciare da Monti – Fornero, che l’hanno individuata come bancomat privilegiato per rastrellare fondi.

Vedremo quali saranno le strade che in pratica seguirà questo Governo, ma la decisione di fondo è comunque presa e dovrà essere realizzata con priorità insieme all’indifferibile necessità di evitare aumenti Iva. Aspettando nel frattempo ulteriori, possibili colpi di scena renziani. Lo stai sereno a Conte non consente certo al premier di dormire sonni tranquilli.


Ezzelino da Montepulico


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