Referendum e elezioni regionali: Salvini chiederà scioglimento Parlamento, ma il Capo dello Stato avrà problemi a intervenire

Molti si stanno già chiedendo, anticipando troppo i tempi, cosa succederà in caso di vittoria del si al referendum e di conquista di 4 o 5 regioni su 7 da parte del centrodestra. Non è certo un’ipotesi molto facile a realizzarsi, tenuto conto delle clientele della sinistra annidate in molte zone del Paese, ma è quasi certo che, se si verificasse la cennata ipotesi, Matteo Salvini chiederà subito al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento. Nella considerazione di poter avanzare una richiesta legittima, sostenendo che, sebbene il taglio scatti dalla prossima legislatura, perché così vuole la riforma, l’ossequio alla volontà popolare pretenderebbe di accorciare i tempi con elezioni immediate. Se poi il centrodestra conquistasse cinque regioni su 7, il leghista farebbe sicuramente leva su quello che i cultori del diritto definiscono «disallineamento» tra Paese reale e Paese legale.
Ma, visti i precedenti, e considerata la scarsa propensione di Mattarella a cambiare governo e a sciogliere le camere, il Quirinale potrebbe sostenere questa tesi: è vero che il capo dello Stato può sciogliere le Camere «sentiti i loro presidenti», quasi una formalità; però non si tratta assolutamente di un potere assoluto, arbitrario. La prassi prevede che le elezioni possano venire anticipate solo nel caso in cui manchi una maggioranza. E se una maggioranza, anche se litigiosa come quella attuale, esiste, ed esprime un governo, convocare le urne equivarrebbe quasi a un colpo di Stato.
Tra l’altro lo scioglimento, come tutti gli atti presidenziali, andrebbe controfirmato dal premier, il quale in teoria potrebbe rifiutarsi (sebbene sulla natura formale o sostanziale della controfirma la dottrina non sia affatto concorde). «Al di là di tutte le motivazioni dello scioglimento», argomenta il giurista Dem Stefano Ceccanti, «c’è un’unica certezza: per sciogliere devono firmare in due, presidente della Repubblica e presidente del Consiglio. Altrimenti non si può fare».
A questo riguardo c’è un precedente, del 1994, quando Oscar Luigi Scalfaro, in combutta con Bossi, indisse nuove elezioni alla luce dei grandi cambiamenti politici che si erano determinati con Mani Pulite, compresa la riforma del sistema elettorale. A prima vista sembrerebbe la fotocopia della situazione attuale, nel caso vincesse il Sì. Ma c’è un dettaglio decisivo: Scalfaro ottenne il via libera dell’allora premier, Carlo Azeglio Ciampi, il quale dichiarò esaurito il proprio compito spianando così la strada al decreto di scioglimento. E Giuseppi, visti i precedenti, non firmerà tanto facilmente la sua fine politica, visto che ha preso molto gusto alla poltrona, che occupa senza essere mai stato eletto, e ai pieni poteri.
