Contributi di solidarietà, la storia degli scippi ai pensionati a partire dal 2010

Il legislatore italiano, sulla spinta prima delle sinistre e poi anche dei populisti, per motivazioni esclusivamente politiche ha deciso in più occasioni d’introdurre un contributo di solidarietà sulle pensioni di importo più elevato.
Ci ha provato già con il Dl n. 78/2010 (c.d. Decreto Sacconi) convertito con legge n. 122/2010 e successivamente riproposto nel 2011 con il dl n. 98/2011 convertito con legge n. 111/2011. In quel caso il taglio, progressivo, era del 5% per le pensioni d’importo superiore a 90mila euro, del 10% per quelle superiori a 150mila euro e del 15% per quella oltre la quota 200mila euro.
Tale meccanismo è stato, però, ritenuto incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 116/2013 che ha ripreso, peraltro, le considerazioni già contenute nella sentenza n. 223/2012 con la quale era stato bocciato il taglio previsto dal dl n. 78/2010. Secondo la Consulta tale intervento non è ammissibile quando riguarda solo i pensionati, senza garantire il rispetto dei principi di uguaglianza a parità di di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi. Il contributo, quindi, non si può applicare solo ad una categoria di persone. Ma poi le sentenze della Consulta hanno preso una piega meno giuridica e più populista.
Il contributo di solidarietà previsto dalla legge n. 147/2013
La misura è stata riproposta con l’articolo 1, co. 486 della legge n. 147/2013 (legge di bilancio per il 2014). che ha introdotto due elementi di novità per superare i precedenti rilievi di costituzionalità del Giudice delle Leggi. Si è meglio specificato il carattere progressivo del prelievo (nel rispetto della capacità contributiva di ciascuno); la durata temporanea dello stesso; e la destinazione delle risorse risparmiate da utilizzarsi finanziare in parte gli interventi di salvaguardia per i cd. esodati, facendo quindi permanere le stesse nel comparto previdenza.
La disposizione da ultimo richiamata ha così disposto un prelievo dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016 a partire dagli assegni superiori a 14 volte il trattamento minimo INPS pari al 6% della parte eccedente il predetto importo fino all’importo annuo lordo di 20 volte il trattamento minimo INPS. Detto contributo viene aumentato al 12% per la parte eccedente l’importo lordo annuo di 20 volte il trattamento minimo INPS e al 18% per la parte eccedente l’importo annuo lordo di 30 volte il trattamento minimo INPS. Questo contributo ha trovato applicazione sui trattamenti pensionistici corrisposti esclusivamente da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie (quindi non solo l’Inps ma anche le Casse professionali) prendendo a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato, con l’inclusione, pertanto, anche delle pensioni ai superstiti e di invalidità a prescindere dal criterio di calcolo utilizzato (cfr: messaggio inps 4294/2014). La decurtazione viene stabilita dall’INPS sulla base dei dati che risultano dal Casellario centrale dei pensionati, fornendo eventualmente agli enti previdenziali interessati i necessari elementi per il prelievo del contributo, secondo modalità proporzionali ai trattamenti erogati.

L’indicato meccanismo è stato dichiarato legittimo dalla Consulta con la sentenza n. 173/2016 in virtu’ del riconoscimento che tale prelievo non ha natura tributaria (in quanto i risparmi devono rimanere all’interno al circuito previdenziale), è temporaneo ed è giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema, e quindi da non ripetersi in seguito.
Il contributo di solidarietà di cui alla legge n. 145/2018
Rafforzato dalla decisione della Consulta il legislatore ha riproposto il contributo di solidarietà con l’articolo 1, co. 261 della legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019) per un periodo di cinque anni a partire dal 1° gennaio 2019, ignorando la raccomandazione della Consulta, che aveva definito il prelievo sostanziamente da non ripetere. Tale contributo è stato articolato su prelievo progressivo in cinque fasce a partire dagli assegni superiori a 100mila euro lordi l’anno (la fasce sono riportate in tabella) con riduzioni più impattanti al crescere del valore dell’assegno.
Questa riduzione, tuttavia, a differenza di quella prevista con la legge n. 147/2013, sta interessando esclusivamente i trattamenti pensionistici diretti erogati dall’INPS e di cui ci sia almeno una parte liquidata con le regole retributive (quindi riguarda i soggetti in possesso di anzianità al 31.12.1995 che non abbiano esercitato l’opzione al sistema contributivo) con esclusione, in ogni caso, delle pensioni ai superstiti, delle pensioni corrisposte alle vittime del dovere e del terrorismo nonché le prestazioni di invalidità e di privilegio e di tutte le pensioni erogate dalle Casse Professionali (Cfr: Circolare Inps 62/2019; Circ. Inps 116/2019)

La Corte Costituzionale, nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha recentemente dichiarato l’illegittimità del nuovo prelievo per un periodo superiore a 3 anni, confermando per il resto in toto il balzello, ritenuto per il passato parzialmente illegittimo. In definitiva, pertanto, il prelievo fissato dalla legge n. 145/2018 potrà durare sino al 31 dicembre 2021 (e non sino al 31 dicembre 2023 come originariamente previsto). Magra consolazione per i pensionati salassati gravemente, con l’aggravante che questo prelievo non andrà a sostenere le pensioni più base, ma incrementerà anche il reddito di cittadinanza, come noto concesso a ogni tipo di personaggi, anche ex terroristi, spacciatori e altri personaggi simili. Ingrassati a spese di chi ha lavorato onestamente tutta una vita.
Queste le vicende dei taglieggiamenti perpetrati dai vari governi, presunti tecnici (vedi governo Monti), di sinistra e gialloverde. Le sentenze della Corte Costituzionale, la cui composizione è variata con sbilanciamento a sinistra nel periodo delle presidenze di re Giorgio Napolitano e di Mattarella, ha prodotto l’effetto voluto dai vari governi, legittimare la violazione del patto fra lo Stato e il cittadino lavoratore, che si vede defraudato di quanto gli spetta in base alle regole vigenti nel periodo in cui ha esercitato la sua attività, confidando in una vecchiaia serena con gli assegni legittimamente maturati. Mai pensando che lo Stato avrebbe perpetrato, con l’accondiscendenza di altri poteri di livello costituzionale, un vero e proprio scippo legalizzato ai suoi danni.
