Betori: omelia di Pasqua, guai se distanziamento sociale diventa solitudine
FIRENZE – «Pasqua è sì festa consolante perché dice speranza, vittoria della vita sulla morte, ma è anche festa impegnativa, perché dice cammino nel sentirsi fratelli e nell’amare fino alla dimenticanza di sé. Guai se il distanziamento sociale, a cui la pandemia ci costringe, dovesse diventare preludio alla scomparsa dell’altro, del fratello dalla nostra vita. La luce di Cristo non è solo splendore di verità, ma è anche fuoco di carità, è verità di amore».
Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nella omelia proclamata nella messa per la Santa Pasqua nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. «Una verità scomoda quella che propone Gesù, perché amare è soffrire: non ci può essere amore senza croce, come lui ci mostra. Ma è anche l’unica possibilità per l’umanità di uscire dalle secche di una cultura che sta soffocando ogni autentica aspirazione del cuore e della mente, chiedendo di assuefarci a modelli standardizzati, programmando le nostre scelte secondo algoritmi che funzionano in base al consenso. Quale sia il volto di una modernità regolata dal mi piace e mossa dabasse passioni, senza eroismi, lo ha profetizzato il filosofo tedesco Friedrich Nieztsche descrivendo l’ultimo uomo. La cultura degli’ ultimi uomini’ è attorno a noi, rischia di intossicarci tutti; è una cultura narcotizzata, in grado di produrre solo desideri meschini e a basso costo, una cultura di morte prima ancora che la morte giunga, incapace poi di affrontarne il mistero. Abbiamo bisogno di illuminare la grande mistificazione che ci circonda e ritrovare una strada di verità, quella che risplende nel Crocifisso Risorto, colui nel quale dolore e amore non sono separati e la morte risorge nella vera vita»