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Pensioni: dal 2022 aumentano dell’ 1,7% per la variazione del costo della vita. Dopo 10 anni di blocco

L’attuale governo, come quelli precedenti, tartassa i pensionati, considerati bancomat preferiti dal fisco, ma per fortuna non ha avuto il coraggio di prorogare i tagli alla rivalutazione degli assegni sulla base della contingenza, come avvenuto negli ultimi 10 anni, a partire dal 2011 con il governo autoproclamatosi Salvaitalia del professor Monti, intronato dal Presidente Napolitano.

Tagli considerati costituzionali dalla Consulta schierata dalla parte del governo, come è avvenuto del resto anche per le sentenze pronunciate in merito ai contributi di solidarietà. In questo caso la Corte, con comportamento che molti hanno giudicato populista, praticamente approvò la decisione (in salsa bolscevica, dagli ai ricchi) riproposta più volte e per più anni dai vari governi succedutisi nel tempo dal 2013 in poi.

L’anno prossimo però l’inversione di tendenza. Gli importi delle pensioni in pagamento aumenteranno sia per effetto dell’adeguamento all’inflazione prevista nel 2021 sia perché contestualmente verrà abbandonato il meccanismo di rivalutazione in vigore, con qualche modifica, dal 2012 per ritornare a quello a fasce.

Con il decreto ministeriale del 17 novembre scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 26 novembre, è stato stabilito che il tasso provvisorio da applicare nel 2022 per adeguare gli assegni previdenziali alla variazione del costo della vita è dell’1,7 per cento. Si tratta di un dato provvisorio perché calcolato sui valori effettivi dei primi nove mesi dell’anno in corso, mentre quelli degli ultimi tre sono stimati.

A inizio 2023 si applicherà il valore definitivo, che potrà essere uguale, più alto o più basso con contestuale conguaglio a favore o sfavore dei pensionati. Lo stesso decreto ha confermato a zero il tasso per il 2020, che era già stato stimato nullo in via provvisoria e quindi non ci saranno conguagli sulle pensioni accreditate il prossimo mese di gennaio, aventi decorrenza nel corso del 2020.

In realtà la variazione dell’indice di riferimento calcolato dall’Istat è -0,3%, ma in base all’articolo 1, comma 287, della legge 208/2015, l’adeguamento non può essere negativo e quindi è stato portato a zero (per la terza volta dal 2016 a oggi). L’aumento dell’1,7% non sarà però applicato integralmente a tutti gli importi degli assegni in pagamento.

Salvo interventi al momento non annunciati, da gennaio la rivalutazione delle pensioni avverrà secondo il meccanismo delle fasce che ritornerà in vigore dopo la sospensione introdotta dal 2012 a oggi, periodo in cui la percentuale di rivalutazione è stata applicata all’intero importo, ma con aliquote inversamente proporzionali all’ammontare del trattamento.

In base alle novità determinate dall’articolo 1, comma 478, della legge 160/2019, l’aumento dell’1,7% sarà riconosciuto fino a 2.062,32 euro attualmente pagati. Chi percepisce un assegno più ricco, avrà l’eccedenza rivalutata dell’1,530% (il90%di 1,7) fino a 2.577,90 euro, mentre l’eventuale quota ulteriore sarà rivalutata dell’1,275% (il 75% di 1,7).

In pratica un assegno di 2.500 euro lordi mensili con le regole attuali sarebbe rivalutato dell’1,309% (i1 77% di 1,7) e arriverebbe a 2.532,73 euro. Con il meccanismo a fasce aumenterà a 2.541,76. Nel passaggio da un sistema di calcolo all’altro nulla cambia per le pensioni fino a quattro volte il valore minimo (attualmente 2.062,32 euro) in quanto viene sempre riconosciuto il 100% dell’inflazione, mentre ne guadagnano un po’ gli assegni di importo maggiore. L’adeguamento riguarda anche il valore del trattamento minimo di pensione che, dagli attuali 515,58 euro mensili, giungerà a 524,34 euro, mentre l’assegno sociale passerà da 460,28 a 468,10 euro mensili.

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