Antimafia: “Difenderemo i fondi del Pnrr dalle mire di Cosa Nostra”. E il ricordo della strage dei Georgofili

Guardare avanti, agli investimenti che saranno fatti anche con i fondi del Pnrr, e che dovranno essere difesi dagli appetiti mafiosi. Ma ricordarsi del passato, soprattutto del sangue e delle vittime provocati dalla bomba del 27 maggio 1993, sistemata in un fiorino nel cuore del cuore di Firenze, addossato all’Accademia dei Georgofili. Mafia di ieri e mafia di oggi. Prevenzione contro eventuali, e per nulla improbabili nuovi disegni criminali, e commemorazione per l’attentato che ferì profondamente la città, si sono incrociati, in Palazzo Vecchio, in occasione del trentesimo anniversario della nascita della Dia, la direzione investigativa a Antimafia, e dell’inaugurazione della mostra “Antimafia itinerante”. Iniziativa partita da Palermo, con tredicesima tappa Firenze, e conclusione a Torino, in maggio, in occasione dei 30 anni dalla strage di Capaci, nella quale vennero uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta.
PNRR – “Le mafie sicuramente cercheranno di approfittare dei fondi del Pnrr, ma noi siamo perfettamente attrezzati per respingere questi attacchi. La Toscana e’ ancora una regione sana, produttivamente importante ma scevra da grandi infiltrazioni criminali”. A dirlo è stato Maurizio Vallone, direttore della Direzione Investigativa Antimafia. Che ha aggiunto: “Le mafie vanno dove ci sono i soldi, dove c’è la possibilità di fare soldi e di prendere appalti o costringere imprenditori a vendere le proprie aziende sottocosto. Proprio per questo il Governo ha dotato le prefetture e le forze dell’ordine di maggiori poteri nell’ultimo anno a seguito dei decreti emergenza e questo ci dà più possibilità di contrastare le infiltrazioni criminali”. Quanto all’inchiesta toscana sui rifiuti Keu, Vallone ha sottolineato “il fatto che queste indagini siano state già portate a compimento con importanti risultati, dimostra quanto sia alta l’attenzione sia a livello preventivo che a livello repressivo da parte delle Prefetture e della magistratura”.
GEORGOFILI – La foto di Caterina Nencioni, 50 giorni appena, battezzata in Orsanmichele una settimana prima di morire dilaniata dalla bomba mafiosa nella torre dei Georgofili, è la prima immagine che mi torna alla memoria, mentre il sindaco, Dario Nardella, il presidente della Regione, Eugenio Giani e il prefetto, Valerio Valenti, intervengono dal palco per assicurare l’impegnio istituzionale contro la mafia. Ma tutti si soffermano sulla strage di 29 anni fa: che costò la vita al babbo e alla mamma di Caterina, alla sorellina Nadia, 9 anni, e a uno studente di architettura, il 22enne Dario Capolicchio. E ci furono feriti, persone sorprese dall’esp0losione nel cuore della notte fra il 26 e il 27 maggio. Salve per miracolo. Pesantissimi i danni per alcune opere d’arte degli Uffizi, rimaste in parte sfregiate, e per le attività economiche. Ricordo la devastazione della Trattoria Antico Fattore e dell’albergo Quisisana. Ma soprattutto non posso dimenticare l’angoscia, alle 7,30 di quel 27 maggio, dell’allora capo della squadra mobile, Sandro Federico, e del prefetto Elveno Pastorelli, primo responsabile operativo della protezione civile. Quando li incontrai, coperti di polvere, nel piazzale degli Uffizi, mi dissero d’un fiato: “E’ stata una bomba, forse piazzata dentro un Fiorino”. Rimasi inebetito. Mi avevano svegliato, alle 6, da La Nazione: “Vai a fare un pezzo sui danni dell’esplosione di gas di stanotte”. Altro che gas! Chiamai il direttore di allora. Non ci credeva, non pensava che la mafia avesse steso la mano malvagia su Firenze. Venne decisa un’edizione straordinaria. In poche ore raccontammo morte e dolore provocati dalla mafia. Tutta la cronaca di Firenze si mobilitò. Per giorni descrivemmo la Firenze ferita e arrabbiata, forse più dell’alluvione del 1966. Allora era stato l’Arno, al quale si poteva perdonare perchè non eravamo stati capaci di prevenire. Stavolta era colpa di spietati assassini. Che decidemmo di denunciare anche con un libro, un istant book, sollecitato da Giovanni Spadolini e dal suo braccio destro, Cosimo Ceccuti. Titolo: “Firenze, quella notte una bomba”. Un lavoro che, nel ’94, ottenne il secondo premio cronista dell’anno. Andai a ritirarlo io all’assemblea nazionale dell’Unci, a Siracusa. Era una targa d’argento con i nostri nomi. La mettemmo in redazione. Una notte sparì. Anni dopo scrivemmo un altro libro, su sollecitazione di Valdo Spini: “Attentato a Firenze”. Un nuovo successo. Per fortuna i libri restano. La targa d’argento chissà dov’è finita.
FIRENZE E LO STATO – Ma da fiorentino critico, e spesso in lite col mondo, devo aggiungere un altro ricordo: che fa onore a Firenze e alle sue istituzioni. Un ricordo che comincia con l’arrivo a Firenze di Carlo Azeglio Ciampi, presidente del consiglio, accompagnato davanti al cratere dei Georgofili dal prefetto, Mario Iovine, già prefetto di Palermo proprio nei giorni della strage di Capaci. Aveva già conosciuto la mafia, Iovine. Di fronte alle rovine, Ciampi promise: “Lo Stato soccorrerà Firenze”. Frase confermata dal ministro dell’Interno, Nicola Mancino, guidato in via de’ Georgofili dall’allora giovane viceprefetto Paolo Padoin. Che venne incaricato di gestire i fondi stanziati dal governo, con la supervisione di Vito Riggio, sottosegretario alla presidenza del consiglio. Fecero un gran lavoro, Riggio e Padoin: non solo risarcirono completamente i danmneggiati, in particolare artigiani e commercianti. Ma al momento di rendicontare si accorsero che la somma stanziata da Ciampi era stata sovrastimata. E loro, attenti gestori di soldi pubblici, ebbero la soddisfazione di restituire a Roma la somma avanzata. Firenze aveva chiesto il giusto, rimboccandosi le maniche. Senza approfittare. Dando, indirettamente, un altro schiaffo alla mafia
