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Morte di Martina Rossi: regime di semilibertà per i due condannati, Albertoni e Vanneschi

Dal profilo Facebook una foto di Martina Rossi, morta a 20 anni a Palma di Maiorca

FIRENZE – Hanno ottenuto la detenzione in regime di semilibertà dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due trentenni aretini condannati in via definitiva a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo ai danni di Martina Rossi, nell’ambito del procedimento nato dalla morte in Spagna, nel 2011, della ventenne studentessa genovese.

L’udienza si è svolta il 29 settembre scorso, ieri la decisione è arrivata in procura generale che ha emesso il provvedimento di esecuzione: Albertoni e Vanneschi si sono poi costituiti nel pomeriggio al carcere di Arezzo. 

Il regime di semilibertà è una misura alternativa che prevede il lavoro esterno al carcere e la possibilità anche di soste a casa, secondo un programma da stabilire, con rientro in carcere per la notte. Riguardo ad Albertoni e Vanneschi, nell’udienza davanti al tribunale di sorveglianza, il pg aveva chiesto il rigetto delle misure alternative, le difese di entrambi i condannati quella invece dell’affidamento ai servizi sociali. Il tribunale ha poi deciso per la detenzione in regime di semilibertà.

Le reazioni? “Nessuno ci restituirà nostra figlia, ma ora giustizia è fatta. E’ stato messo, finalmente, un punto fermo in una vicenda lunga e dolorosa, in cui nostra figlia è la vittima. E noi siamo morti con lei”. Così Bruno Rossi e Franca Murialdo, genitori di Martina Rossi, hanno commentato la notizia che è diventata esecutiva la condanna a tre anni di reclusione per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenza sessuale sulla loro figlia, morta a 20 anni il 3 agosto 2011 durante una vacanza in Spagna.

“Evidentemente, i giudici del Tribunale di sorveglianza – racconta Bruno Rossi – hanno considerato il comportamento di Albertoni e Vanneschi non consono alla richiesta avanzata di essere affidati ai servizi sociali. Loro non solo hanno uccisa nostra figlia ma non l’hanno nemmeno soccorsa subito dopo che era precipitata per sfuggire dall’aggressione. Durante tutto il processo non hanno mai chiesto scusa, non hanno mai mostrato un segno di pentimento, un moto di pietà. Anzi, sono andati in giro a dire che era stata Martina ad aggredirli; che era stata Martina a buttarsi dalla finestra! Finalmente è arrivata la sentenza di condanna definitiva a 3 anni, una pena che noi consideriamo un traguardo che definisce delle responsabilità precise. Per me e mia moglie si è chiusa una vicenda giudiziaria, siamo soddisfatti se ora sono in carcere. Noi abbiamo perso nostra figlia per sempre 11 anni fa!” 



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