Ponte di Kerch: Mosca studia la rappresaglia. Ma Kiev respinge le accuse e parla di complotto interno al Cremlino

Gli americani insistono: “Sono stati gli 007 ucraini a far saltare il ponte della Crimea”. Ma in un’intervista al Corriere della Sera, Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Ucraino, Zelensky, sostiene il complotto interno al Cremlino. Affermando: “Nelle ultime settimane il conflitto tra le due torri del Cremlino, il ministero della Difesa russo e l’Fsb (i servizi segreti, ndr), si è intensificato e il controllo del ponte è sotto la giurisdizione dell’Fsb. Ecco perché i servizi del ministero della Difesa lo hanno colpito. Per far ricadere la colpa sui servizi segreti speciali”. A sostegno di questa tesi, Podolyak afferma che “secondo informazioni di geolocalizzazione, il camion è arrivato da territorio russo. E lo stesso veicolo è russo. La sincronizzazione dell’esplosione con il passaggio del carico di carburante indica l’attenta pianificazione dell’operazione”.
CREMLINO – In ogni caso, a Mosca c’è fermento e poca condivisione con l’operare di Putin. C’è chi vuole la rappresaglia, come Serghei Markov, influente politologo russo ed ex consigliere dello “zar”, un comune sentire, il suo, che serpeggia su Telegram e tra i corridoi del Cremlino. Ora dopo ora, le voci di chi invoca la vendetta ingrossano il coro. L’affronto simbolico e il danno materiale all’emblema dell’espansionismo in Ucraina, è il ragionamento dei falchi a Mosca, non possono restare impuniti.
GENERALE DI FERRO – “Il ponte della Crimea è stato colpito -sostiene Markov – perché non c’è stata risposta per l’attacco terroristico contro il Nord Stream. E il Nord Stream è stato fatto esplodere perché non c’è stata risposta per il terrorismo nucleare nella centrale nucleare di Zaporizhzhia. Se non c’è una risposta dura e dolorosa per l’attacco terroristico contro il ponte di Crimea, allora gli attacchi terroristici potrebbero presto arrivare nelle principali città russe”. E del resto, anche il nuovo comando dell’offensiva, appena affidato al generale di ferro Serghei Surovikin, potrebbe spingere per un cambio di passo a suon di bombe. Così, alla vigilia della riunione del Consiglio di sicurezza convocata dallo “Zar”, il dilemma sembra ruotare non intorno all’eventualità di una risposta militare russa, ma alle sue tempistiche e proporzioni.
ZELENSKY – Il primo obiettivo potrebbe essere simmetrico: un’infrastruttura strategica per un’altra. Già dopo la ritirata delle sue truppe dalla regione di Kharkiv, Mosca aveva iniziato a colpire a ripetizione centrali elettriche, dighe e altri impianti civili. Attacchi che hanno lasciato intere regioni al buio o, come nel caso di Kryvyj Rih, la città natale del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, hanno rischiato di provocare un disastro idrogeologico. Ora frequenza e intensità di questi raid potrebbero crescere con l’obiettivo di stremare la popolazione, colpendo anche fonti di riscaldamento in vista dell’inverno, o magari prendendo di mira porti e stazioni ferroviarie. L’altra strada della vendetta conduce ai simboli: centri del potere, palazzi, monumenti. Ma il Cremlino, in questo caso, faticherebbe a mantenere la retorica dell’obiettivo militare. Un punto interrogativo sempre più pesante riguarda poi le armi da utilizzare. Ancor più che le quattro regioni appena annesse e ancora da “stabilizzare”, come ha ammesso lo stesso Putin, l’attacco alla Crimea è considerato dalla Russia come un attacco alla sua integrità territoriale.
OLIGARCA – Ecco che per i falchi, dal leader ceceno Ramzan Kadyrov all’oligarca e mente del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, sarebbe quindi legittimo il ricorso ad armi nucleari tattiche. Pressioni che, secondo i servizi ucraini, starebbero crescendo parallelamente alle minacce di destabilizzazione interna per forzare la mano allo “Zar”. In ogni caso, si sottolinea negli ambienti pro-Cremlino, la “punizione a Kiev” non è stata, né si attende immediata. Intanto, per capire bene cosa colpire e come farlo; e poi, per allontanare i sospetti di un’operazione dei servizi russi “come pretesto per un attacco alle infrastrutture civili dell’Ucraina”. Una prudenza che servirebbe a legittimarsi davanti ai Paesi amici, dalla Cina all’India, sempre più insofferenti di fronte a una guerra che non accenna a finire. E che la Russia non sta certo vincendo.
