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Scalatrice iraniana gareggiò senza velo: Teheran le distrugge la casa. Nuovo messaggio ai contestatori

Elnaz Rekabi Iran
L’atleta iraniana Elnaz Rekabi (Foto ANSA)

Le hanno distrutto la casa. Nuova vittima dell’oppressione di Teheran è la scalatrice iraniana Elnaz Rekabi, atleta balzata a ottobre agli onori della cronaca per non aver indossato il velo mentre gareggiava ai campionati di arrampicata sportiva a Seul. Un gesto costato caro all’atleta, che le autorità di Teheran hanno interpretato come un sostegno alle manifestazioni indette dopo la morte di Mahsa Amini il 16 settembre. Rientrata a Teheran Rekabi era stata acclamata da una folla di migliaia di persone che la aspettava all’aeroporto, ma difronte alla tv di stato aveva affermato di aver gareggiato senza velo inavvertitamente e di non aver fatto nessun gesto simbolico o politico. Quindi era stata posta ai domiciliari.

A diffondere la notizia della demolizione è stato l’organo di informazione anti regime IranWire. Un attivista ha condiviso su Twitter alcune immagini dove oltre alle macerie vengono inquadrate delle medaglie, mentre il fratello della campionessa, Davood anche lui scalatore, piange. “Questo è il risultato della vita in questo Paese. Un campione con chili di medaglie per questo paese che ha lavorato sodo per rendere orgoglioso questo paese. Hanno demolito una casa di 39 mq e se ne sono andati. Cosa posso dire?”, afferma una voce fuori campo la cui identità non è nota, scrive la Cnn.

La mossa del regime verso la campionessa è in linea con quanto annunciato oggi dal Consiglio di sicurezza iraniano che in vista di una nuova mobilitazione degli attivisti per tre giorni dal 5 al 7 dicembre, Giornata nazionale degli studenti universitari, ha annunciato che “le forze di sicurezza, con tutta la loro forza e senza tolleranza, faranno fronte a ogni nuova rivolta, che finora è stata sostenuta dai servizi di intelligence stranieri”.

Nella nota, citata da Irna, si invitano gli studenti, i partiti politici, i gruppi, gli attivisti che operano via social network a “essere vigili su quanto trama il nemico e a respingere le rivolte collaborando con il governo, per instaurare un dialogo politico volto a riformare alcune questioni”. Lo stesso Consiglio di sicurezza ha poi aggiornato a “oltre 200 morti” il bilancio dall’inizio delle proteste, indicando tra le vittime sia le “forze della sicurezza”, sia “persone innocenti, rivoltosi e antirivoluzionari armati”. Una cifra che non coincide però con quella fornita da gruppi per i diritti umani, secondo cui fino a giovedì sono morte oltre 462 persone, tra cui 64 minori.

Proseguono, intanto, le retate, anche tra gli artisti: il quotidiano Shargh ha reso noto oggi il fermo di Mitra Hajjar, star del cinema iraniano, arrestata a casa sua. Oltre alle piazze, l’uso obbligatorio dello hijab ha investito il Parlamento e il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale che, a detta del Procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri, stanno studiando e lavorando in merito e dovrebbero annunciare un risultato tra 15 giorni. L’ultraconservatore non ha però però specificato in quale direzione questa legge potrebbe essere modificata. Il velo è diventato obbligatorio in Iran nel 1983, quattro anni dopo la rivoluzione islamica del 1979.

Per “diffondere la cultura della decenza e dell’hijab”, sotto il presidente Mahmoud Ahmadinejad è stato creato un corpo di polizia con il compito di assicurare il rispetto dei costumi tradizionali. Secondo un rapporto confidenziale, trapelato di recente dall’agenzia di stampa iraniana Fars, che è vicina alle Guardie rivoluzionarie, solo il 37% degli iraniani è d’accordo con la legge sull’hijab. Ma al governo di Teheran, che non ha evidentemente problemi elettorali, tutto questo interessa poco.


Gatto

Gilda Giusti

Redazione Firenze Post

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