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Rivera, 80 anni e un sogno: “Allenare la Nazionale”. Il ricordo (polemico) dei 6 minuti della finale mondiale contro Pelè

Gianni Rivera e Pelè ai tempi delle sfide mondiali fra Milan e Santos (Foto da You Tube)

Lo guardai storto, in fotografia, Gianni Rivera. Era il 1962. Ossia sessantuno anni fa. Avevo 12 anni e non sapevo che avrei fatto il giornalista. Lui, 19enne, aveva vinto lo scudetto con il Milan. Capitano era Cesarone Maldini. In attacco: Mora, Sani, Altafini, Rivera, Barison. Proprio quello scudetto mi aveva “intignato”. Campionato strano: la Fiorentina arrivò terza, appunto dietro a Milan e Inter. Ma la cosa singolare era che i viola vinsero a Firenze 5-2 contro il Milan, e con lo stesso punteggio persero a San Siro. Contro l’Inter, la Fiorentina (attacco: Hamrin, Bartù, Milani, Dell’Angelo, Petris) vinse 4-1 a Firenze. E con l’identico punteggio perse a Milano. Punteggi incredibili. E finora irripetibili.

Rivera incantava. Anche se io stravedevo per il numero 10 viola: Lucio Dell’Angelo, uno che correva tanto e aveva i piedi buoni per mandare in gol Hamrin e Milani. Un bravo giornalista de La Nazione (Franco Nencini, che avrei conosciuto appena 4 anni dopo, quando cominciai a collaborare con tesserino firmato dal mitico direttore, Enrico Mattei) ribattezzò Dell’Angelo “il Suarez dei poveri”.

Col passare del tempo, cominciai a stimare Gianni Rivera. Esemplare in campo e fuori. Mi arrabbiai con lui (e glielo dissi direttamente, in un grigio pomeriggio, a Coverciano) quando fece la polemica con Valcareggi per i 6 minuti nella finale mondiale contro il Brasile, dopo che aveva fatto il gol decisivo nella fantastica semifinale Italia-Germania 4-3.

Ferruccio, convinto della staffetta Mazzola-Rivera, contro il Brasile non capì le difficoltà ad affrontare una squadra che aveva, oltre a Pelè, Jairzinho, Tostao e Gerson. Forse avrebbe dovuto inserire Ferrante (libero della Fiorentina campion e d’Italia 1968-69), avanzando Cera in mediana, ottimo anche come propositore di gioco. E Gianni, invece di Mazzola, più avanti: anche con licenza di far gol. Sì, fossi stato ‘Uccio, Rivera l’avrei fatto entrare al primo della ripresa al posto di Mazzola. Chissà come sarebbe finita. Anche se, come sentenziò l’inimitabile Artemio Franchi, quel Brasile era veramente la squadra più forte del mondo.

Però rinfacciai a Gianni quell’atteggiamento, mai più mutato (anche oggi dice di non voler ricordare Brasile-Italia di Messico ’70) perchè rovinò la festa agli azzurri, e allo stesso Valcareggi, al ritorno: pomodori all’aeroporto di Genova. Eppure erano vicecampioni del mondo e avevano battuto la Germania nella più bella semifinale di tutti i tempi.

Detto questo, mi piacerebbe che il sogno di Rivera si avverasse: ossia che a 80 anni gli affidassero la Nazionale. Fisicamente integro, testa sempre eccezionale (Nereo Rocco mi disse che era più intelligente di un ingegnere nucldeare, anche se non aveva studiato).

Mi offrirei, se necessario, anche di fargli l’addetto alla comunicazione. Gravina non s’impressioni: garantirei la prestazione professionale gratis (dopo 41 anni di Nazione, Inpgi prima e Inps mi danno quel che serve per vivere più che bene).

Ma andiamo a festeggiarli gli 80 anni di Gianni Rivera, nato il 18 agosto 1943. Dall’Alessandria al Milan. Dove rimase per sempre. Allontanandosi solo quando arrivò Berlusconi per divergenze più politiche che calcistiche. Da “Golden Boy” i sogni li ha realizzati tutti: Pallone d’oro nel 1969 e tre volte sul tetto d’Europa tra Milan e nazionale. Poi la carriera da dirigente rossonero e azzurro e l’avventura politica con diversi incarichi parlamentari.

E ora? Per avviare la carriera da tecnico, alla sua età, serve un assist, come quello che lui offrì a Prati in finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax. L’ha atteso, ma per ora non è arrivato. “Avevo pensato alla Nazionale. Io mi sono proposto, vediamo se la cosa va o non va. Per ora non ho sentito nessuno. Probabilmente hanno fatto altre scelte, anche se costano di più”.

Le dimissioni di Mancini hanno fatto naufragare il progetto di affidare all’ex Ct il coordinamento dell’intero settore azzurro: “Non ero d’accordo con quella decisione – ammette -, mi sembrava un’esagerazione. Gli under 20 e 21 sono giocatori già importanti, che possono arrivare presto alla Nazionale A, quindi è bene che ci siano diversi soggetti”.

Rivera, leggo nelle sue osservazioni, non è convinto dello stile di gioco di oggi: “Gli allenatori hanno accettato tutti un sistema che non condivido, quello di iniziare la partita andando indietro e non avanti. L’impostazione dal basso non mi piace perché inizi l’azione avendo dieci avversari contro, piuttosto che la metà”.

La tecnologia in campo invece è promossa a pieni voti: “Con il Var c’è un controllo preciso e specifico dell’ultima azione. È chiarissimo a tutti quel che succede, quindi sono favorevole. Se l’avessimo avuto noi, avremmo vinto più campionati”. E su San Siro e il vincolo che ne impedirà la demolizione: “Sono contento. Ero preoccupato perché insistevano nel volerlo abbattere. Per fortuna hanno impedito una scemata. Se Inter e Milan andranno via è tutto da stabilire, io penso che continueranno a giocare a San Siro. Così come sono perplesso da tutte le voci, e le polemiche, che girano sul restyling del Franchi di Firenze”.

Nel 2023 il miglior marcatore azzurro rimane Gigi Riva: “Ci sono meno giocatori che sanno mandare in rete i centravanti. L’attaccante di oggi può avere qualche problema in più di quelli che aveva Gigi. Immobile e Retegui bisogna servirli bene”.

L’Arabia Saudita è la dominatrice del mercato. Cristiano Ronaldo e Neymar hanno detto sì. E Rivera che cosa avrebbe fatto? Non ha dubbi: “Io non avrei accettato. Potevano offrirmi soldi su soldi, ma ero troppo affezionato alla mia maglia. I calciatori ormai vanno dove c’è il denaro. Ma i sauditi non possono portare in Arabia un intero campionato, al massimo qualche giocatore. Non possono fare troppi danni al nostro calcio”.

Oggi il mercato è sempre più guidato dai dati: “Non ho capito che sistema vogliono utilizzare, una modalità del genere non può essere perfetta. Potrebbero creare più problemi di quelli che vogliono risolvere. Gli algoritmi non vanno in campo”. Come invece vorrebbe fare Gianni Rivera ad 80 anni con il desiderio di una panchina e una squadra da guidare: “Una volta ero il golden boy. Ora che adesso che divento più giovane, il sogno è quello di allenare”. Bravo Gianni. Anche io credo di trovarmi meglio oggi, da direttore, rispetto a quando ero capo redattore…


Sandro Bennucci

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